Scontenterà qualcuno, accontenterà molti altri. È inevitabile. Ma intanto il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, che nelle ultime settimane ha dato una accellerata all'attività del suo ufficio, ha fatto un altro passo in avanti sulla strada delle «riforme». Ieri con una lettera ai diretti interessati, ha comunicato che per la prima volta «le entrate dei musei e dei siti archeologici statali saranno riassegnate integralmente alle strutture che le hanno prodotte»: così, ha aggiunto, si responsabilizza maggiormente chi dirige le istituzioni e si premiano le gestioni virtuose. Da quando? Da subito: «Già la prima tranche 2014 dei fondi che il Ministero assegna a musei e aree archeologiche, circa 3,5 milioni di euro, sarà distribuita con questi criteri».
Si tratta - almeno sulla carta - di una vera rivoluzione. Finora infatti i proventi della vendita dei biglietti dei diversi musei confluivano indistintamente in un fondo unico al ministero dell'Economia, il quale ne assegnava una parte (circa la metà) al Mibac, il quale a sua volta ripartiva questa metà ai musei, in base a criteri abbastanza complessi (a parte i poli museali di Venezia, Roma, Napoli e Firenze che dal 2003 hanno una loro autonomia). Ora cambia tutto: i soldi saltano il passaggio al Ministero dell'Economia, e soprattutto tornano integralmente al Mibac, e da qui ai singoli musei. «Anche se resta da capire - fa notare Filippo Cavazzoni, dell'Istituto Bruno Leoni - perché, se il Mibac poi riattribuisce gli stessi fondi alle varie istituzioni, non si evita anche questo giro, senza passare da Roma», aggiungendo poi, perplesso, che «molti musei statali sono inseriti dentro le soprintendenze, anche per quanto riguarda il bilancio. Come si può restituire l'incasso al singolo museo non dotato di autonomia? In mezzo restano le soprintendenze, quindi il rischio di cadere nei vecchi vizi...».
Se qualche dubbio resta, è chiaro però che in questo modo i direttori saranno incentivati a valorizzare le proprie istituzioni e a migliorare la qualità dei servizi, sapendo che tutto ciò che il museo guadagna resta in casa. Per fare un esempio. La Pinacoteca di Brera nel 2013 ha avuto 250mila visitatori per un introito totale lordo di 826mila euro. Con la nuova norma, la cifra resterà in casa, e siamo sui 600mila euro netti. Mentre con numeri simili, nel 2012 arrivavano a Brera circa 100mila euro. Ecco perché quando Sandrina Bandera, direttore della Pinacoteca milanese, ha saputo la novità - da una telefonata del Giornale - ha gridato per la gioia. Felicissima ha commentato: «Finalmente viene riconosciuto il frutto delle nostre fatiche. Questa decisione è un grandissimo aiuto ai musei: una vera boccata di ossigeno. È una cosa magnifica».
Anche per Cristina Acidini, soprintendente al polo museale fiorentino (sotto la cui giurisdizione ricadono gli Uffizi e la Galleria dell'Accademia), è «un'ottima decisione: motiverà direttori e funzionari». E anche Angelo Crespi, responsabile per i Beni culturali del neonato Dipartimento cultura di Forza Italia, che segue con attenzione critica l'operato del Ministero, è ottimista: «È un passaggio fondamentale, ben venga. Non siamo per un'opposizione pregiudiziale all'attività di governo.
La nuova disposizione genera un'energia positiva perché ogni soprintendente o direttore sarà incentivato a migliorare la performance del proprio istituto. E se i soldi restano nella disponibilità della casa, si potranno fare più mostre, migliorare il percorso espositivo, i servizi, eccetera... Quindi maggiore autonomia e managerialità. Quello per cui ci battiamo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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