Il Novecento è stato, fra tante cose, il secolo del cinema. E anche il secolo delle dittature: dai fascismi europei ai regimi dell'Est. Due strade, quella del potere e quella dell'arte cinematografica, che si sono spesso incrociate, generando apologie, condanne, capolavori, accuse, e soprattutto memoria. Qui, sull'intersezione fra Storia e Cinema, si è focalizzato lo sguardo di Stefano Giani, che ha scritto il saggio a oggi più completo e approfondito sull'argomento: Dittatori al cinema. I totalitarismi europei sul grande schermo (Gremese, pagg. 156, euro 19,50).
Secolo «breve» di orrori infiniti, il Novecento ha riflesso sullo schermo cinematografico tutte le diverse facce dei totalitarismi (hitleriano e staliniano) e delle dittature (dal Portogallo all'Ungheria) attraverso i documentari di propaganda (Leni Riefenstahl o le bugie da favola dei registi sovietici), le pellicole di regime (Sole, del '29, dedicato alla bonifica delle paludi pontine o il trionfante La caduta di Berlino del 1949 di Mikhail Ciaureli), i film di denuncia (Z-L'orgia del potere di Costa-Gavras, del '69, contro il regime greco dei colonnelli...), i blockbuster hollywoodiani (Miracolo a Sant'Anna di Spike Lee), titoli scomodi (Katyn di Andrzej Wajda o Vento di primavera di Roselyne Bosch, sulla pagina vergognosa del Vélodrome d'Hiver nella Francia di Pétain), melò e thriller d'autore (Il pianista di Roman Polanski o Music box). E toccando i generi più differenti: il drammatico, il fantasy (Il labirinto del fauno di Guillermo del Toro...), il grottesco (Bastardi senza gloria di Tarantino...), il biopic, l'horror. E persino il comico. Perché ogni autoritarismo si regge sul terrore, ma lo si abbatte dissacrandolo.
Dittatori al cinema non è un libro a tesi, non privilegia un taglio storico, politico e/o revisionistico. E in realtà non è neppure un saggio di critica cinematografia. È un po' di più.
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