Mangi un boccone, fai un tratto di strada a piedi fumando un paio di sigarette, arrivi a casa, dai da mangiare al tuo gatto semi-randagio, ti lavi i denti, ti spogli e ti infili a letto con un amico. Gli amici si vedono nel momento del bisogno, e anche per questo non se ne deve abusare, vanno centellinati come un bicchiere di vino giusto. A volte gli amici sono romanzi che ti dispiace finire, anche se hai il privilegio e la fortuna di sapere che, una volta finiti, andranno nelle buone mani alle quali li hai promessi. E, proprio come gli amici in carne e ossa, anche i veri amici di carta ti sorprendono in positivo.
Questo qua, Il peso, di Liz Moore (Neri Pozza, traduzione di Ada Arduini), fa parte dell'empatico cerchio magico in cui ti ritrovi, di un'avventura domestica a tua immagine e somiglianza, anche se alla lontana. C'è un grassone newyorkese che ciondola in casa, proprio come te, anche se magari tu non sei un grassone, ma un solitario sì, lo sei. E questo grassone che da anni (per la precisione dall'11 Settembre, sì, proprio da quell'11 Settembre) non esce di casa, fra una mangiata e l'altra si strugge nel ricordo di una vecchia passione. Che poi non è una passione di quelle carnali, bensì una dolce, dolcissima, relazione. Con un'allieva di tanto tempo fa, perché il grassone era un professore e i professori spesso maturano un debole per le allieve...
Poi, in un altro angolo del mondo non molto distante, c'è un ragazzo che di quell'allieva è il figlio, un ragazzo scapestrato e sensibile nel quale, ancora, ti riconosci. Un ragazzo che non va molto bene a scuola e che preferisce il basket e il base-ball, e che si strugge (anche lui) per via della madre che beve. Tua madre no, non beve, non l'ha mai fatto. Ma è tua madre, come Charlene è la sua, e anche tu, come lui, avresti tante cose da dirle che non le hai mai detto. Charlene è (o era) la passione del grassone, di Arthur Opp. Così gli estremi si toccano senza neppure sfiorarsi, le vite parallele di Arthur senior e di Arthur junior che per tutti è Kel proseguono lungo le linee delle rispettive dissoluzioni.
Della musica di Liz Moore (è musicista), perdonate l'ignoranza, non sappiamo nulla, ma della musicalità della sua scrittura, terminato il suo libro, sappiamo molto. È una sinfonia, anzi, sono due sinfonie, un dialogo a distanza contrappuntistico, con recitativi toccati dalla grazia, fra i silenzi della troppo vasta casa di Brooklyn da un lato e il frastuono di un liceo dall'altra. Da una parte il prof a riposo, un Oblomov senza speranza né aspettative, un gourmet dell'auto-annullamento, dall'altra la promessa sportiva, il figlio del peccato, un giovane Holden cresciuto in fretta, figlio di mater certa e di pater semper incertum. Talmente incertum che l'altro Kel, il Kel senior, finito in Arizona, si rivela solo l'occasionale compagno di Charlene.
E dunque come la mettiamo? Come far vibrare l'assonanza che lega, a loro insaputa, il grassone e il ragazzo? Seguendoli con discrezione a distanza. Così le vagonate di calorie ingurgitate da Opp si trasformano nell'affetto paterno riservato alla ragazza delle pulizie Yolanda, e l'adrenalina rabbiosa di Kel si scarica fra le braccia della dolce coetanea Lindsay. È un piacevole tormento seguirli, leggerli, mentre la città dorme e il gatto fa le fusa chissà dove. Tutti insieme aspettiamo Charlene, sposa bambina e martire, pulcino bagnato e dark lady. Tutti vorremmo cancellare il suo destino crudele, per coccolarla come merita.
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