«I fatti furono però più forti del volere umano e la rivoluzione scoppiò. Essa scoppiò quasi inavvertitamente: trionfò di sorpresa. Non ebbe né ideatori né condottieri; non ebbe neanche una vera e propria resistenza... Nel campo di una intesa democratica antigermanica, non poteva sussistere un Impero autocratico e feudale». Ecco la rivoluzione russa del 1917 vista con gli occhi, attoniti, di un italiano. Queste righe, infatti, si trovano quasi all'inizio della relazione, fino ad ora inedita, di uno degli addetti militari italiani, Giovanni Romei Longhena, che in quell'anno si trovavano in missione nell'Impero zarista ormai al tracollo.
È solo una delle chicche inedite che si trovano in una raccolta pubblicata da Aragno: Testimoni della rivoluzione. Le missioni italiane in Russia nel 1917 (pagg. LXII + 142, euro 20, in libreria dal 31 ottobre). Il volume, curato da Agnese Accattoli, presenta al lettore tre diversi rapporti diplomatici, mai pubblicati, che coprono l'intero arco della rivoluzione. C'è quello del sopracitato generale Giovanni Romei Longhena, capo della Missione militare in Russia dall'aprile 1916 all'agosto 1918, quello del principe Scipione Borghese, deputato, inviato a Pietrogrado in missione di propaganda e infine quello di Vladimir Zabugin, studioso russo naturalizzato italiano, giunto in Russia nel maggio 1917 come propagandista di guerra e travolto dalla presa del potere bolscevica.
Il fascino dei tre rapporti è proprio quello di essere stati scritti a caldo. Pur nelle differenze, hanno tutti una particolare caratteristica: sottovalutano la portata del movimento bolscevico. Romei Longhena, preciso e analitico, dipana il lato militare della faccenda. Oltre a temere per le sorti della guerra se la Russia defezionasse vede il lato «pretoriano» del rivolgimento in atto. «La rivoluzione ha trionfato perché le truppe si sono subito schierate dalla sua parte. Eppure queste truppe erano costituite dai depositi di reggimenti della guardia, la fedelissima e aristocratica guardia...». Romei Longhena è anche attento a notare come, nei moti del marzo 1917 che portarono al governo della Duma e che avrebbero potuto portare anche a un governo democratico, a lungo i dimostranti avevano sostenuto richieste tutt'altro che politiche. Se lo Zar fosse stato meno rigido il tutto avrebbe potuto avere un esito diverso: «Il carattere delle dimostrazioni era ancora tutto economico. Non un grido aveva eccheggiato contro la dinastia». Anche dopo la deposizione dello Zar e l'aumento esponenziale di potere dei soviet i diplomatici italiani continuavano a pensare che i menscevichi e le forze democratiche avrebbero prevalso sulle forze massimaliste. Anche a partire dai benefici effetti di un mercato più libero: «A Pietro Grado si vide scendere il prezzo di tutti i generi alimentari di più del 50%». I soviet restano sullo sfondo e sono temuti soprattutto per il loro effetto sulla guerra. Lenin è nominato ben poco ma Romei Longhena ha chiaro che i rivoluzionari intransigenti tendono «alla pace immediata ad ogni costo: ed è su di loro che lavora proficuamente l'oro tedesco». Quell'oro su cui si discute ancora era già certezza per i diplomatici di allora. Diplomatici e qui il più convinto è il liberale Scipione Borghese che spera in Kérensky, «noto socialista, uomo pieno di tatto e di abilità, energico e astuto, coraggioso ed elastico, che ha tanto rigore intellettuale e morale da poter domare con la parola franca e recisa una folla ostile...». Ma alla fine le folle ostili ebbero ragione anche di Kérensky. Ad attrarle quella che Romei Longhena descriveva come «una voce di sirena che ha dilagato per l'immensa Russia» ovvero «Terra e libertà».
Come finì la corsa lo si capisce dalle parole del russo-italiano Zabugin nella sua descrizione del 6-7 novembre 1917: «Kérensky lasciò le redini del fatiscente Governo al cadetto on. Konovalov e la difesa del palazzo a dei bravi ragazzini, allievi ufficiali nelle varie scuole ed al battaglione femminile.
Sul Nevinski intanto e su altre strade principali scorrazzavano automobili blindate bolsceviste... con uomini armati fino ai denti...». Solo allora gli italiani, ma anche gli altri occidentali, iniziarono a capire davvero.
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