Dalle colline picene al mondo, As Far the Eye Can See, «A perdita d'occhio» - è il titolo dell'opera introduttiva - Tullio Pericoli ha sempre scrutato ciò che gli si trovava davanti a lui con curiosità. Occhio geologico e pensieri che scorrono dalla mano. Ha 85 anni, disegna e dipinge da quando viveva e studiava a Colli del Tronto, Marche, terra di insediamenti antichi e paesaggi sinuosi, e continua oggi, concentrato e instancabile, nel suo studio milanese - è qui da sessant'anni, una vita... -: «In questo ultimo anno e mezzo mi ci sono rinchiuso, il piacere di lavorare era più forte della voglia di uscire».
È uscito ieri, per l'inaugurazione della sua mostra nelle sale dell'Appartamento dei Principi a Palazzo Reale di Milano, un'antologica, anche se di fatto costruita attorno a due nuclei temporali, gli anni Settanta e poi l'oggi, con molte opere datate 2020 e 2021. Titolo: Frammenti ( sino al 9 gennaio 2022). Coprodotta da Skira e Comune di Milano, curata dal critico d'arte Michele Bonuomo, con un sontuoso catalogo Skira, e allestita da Pierluigi Cerri, è una mostra-omaggio con 150 opere, divisa in due: prima i paesaggi e poi i suoi celebri ritratti di scrittori. Due mondi in realtà molto più vicini uno all'altro di quanto si immagini: i primi raccontano la storia dei segni lasciati dall'uomo sulla terra, i secondi quelli del tempo lasciati sull'uomo. Di qua solchi, vegetazione, cespugli, fosse. Di là rughe, capelli, sopracciglia, fessure... In un caso e nell'altro - sia che si tratti di dipinti a olio, acquarelli o disegni - il formato che prevale è il quadrato. «È il più difficile, soprattutto nel paesaggio, che di solito si pensa debba avere uno sviluppo orizzontale. Invece il quadrato ti costringe a pensare in modo diverso. Per me è il frammento perfetto». E al centro della mostra, a dividere e insieme legare la grande sezione dei paesaggi e quella più piccola dei ritratti, ecco una sala con due pannelli fronteggianti, ognuno con 25 piccoli «quadretti», 30x30, come fossero piastrelle smaltate. Sono, a loro modo, piccoli ritratti di «pezzi», o frammenti, di Natura.
«Dipingo paesaggi per apprendere la loro lingua e leggere le loro pagine - dice l'artista marchigiano -. Una lettura che parte sempre dalla geologia. Li dipingo anche per ricordare che non ci si deve liberare della memoria, per seguire una storia che strato dopo strato si snoda per tempi infiniti».
E per il resto, ecco il segno inconfondibile e inestricabile di Tullio Pericoli - cento idee in mente, mille immagini negli occhi e un mozzicone di matita sempre in tasca - che corre da una sala all'altra della mostra: geologie, semine, foreste, filari, reticoli, nebbie, terre secche, alberi a forma di lettere, «A» e «Y», «M» e «W», steccati in forma di alfabeti, fioriture, paesaggi che sembrano volti e poi, senza soluzione di continuità, volti degli autori ritratti nel corso di una lunga carriera di illustratore che assomigliano a paesaggi, solcati dagli anni, i dolori, le passioni, gli incubi, le illuminazioni.
Fisionomie così trasfigurate da apparire fedelissime. Ecco Cesare Pavese ferito dalla vita, Pier Paolo Pasolini offeso dalla violenza, Beckett come un cristallo crepato, uno sconcertante Kafka s-paesato.
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