Philippe Claudel, l'arte di narrare gli odori e i ricordi

In un passo della Histoire de ma vie Giacomo Casanova afferma che la certezza di essere esistito gli viene «dall'aver sentito gli odori», con il corollario che non esisterà più quando avrà smesso di sentirne. Philippe Claudel, l'autore di Le anime grigie, si cimenta in una storia non romanzesca, che è la storia dei profumi e degli odori che hanno segnato la sua vita, consegnando al lettore un'opera preziosa per acume stilistico e per rigore compositivo: Profumi (Ponte alle Grazie). I profumi vengono disposti in ordine alfabetico: e ciascuno di essi apre una finestra su un momento autobiografico di Claudel, nato nel 1962 in Lorena, e in particolare su episodi della sua infanzia, che l'autore, «abbondantemente nutrito di mitologia», tende a descrivere come archetipi. Definendo il suo libro «come un capriccio congiunto dell'alfabeto e della rimembranza» ce ne offre la migliore chiave di lettura.
Certamente è protagonista la memoria, che guida a ritroso lo scrittore nei luoghi dei suoi primi anni, nella campagna della Lorena, a rievocare nonni, genitori, amici. Tutto viene ordinato in una specie di catalogo alfabetico di profumi, e intorno a questi profumi si muovono brevi capitoli, quasi voci di una enciclopedia dell'olfatto. Alla voce «Barbiere», Claudel ricorda l'odore della spruzzatina d'acqua, battesimo laico mensile, con cui terminava il taglio dei capelli, un odore di rosa, di brillantina e «di cane vecchio». E alla voce «Carbone» o «Cavolo», ci parla di odori di miseria, di tristezza, di ricovero. Un capitolo è dedicato alle Gauloises e alle Gitanes. Le prime hanno un fumo bonario, proletario, sono quelle di zio Dedé, minatore, le seconde un fumo più aggressivo, brusco, quasi superbo, e sono le predilette dalla borghesie ma anche dal clero: da quel don Thouvenin, prete semplice che dopo tanti anni Claudel immagina fumare «le sue Gitanes alla destra del Padre».
Incontriamo gli odori della natura, la nebbia che sa di tegole muscose, carbone, fuliggine, cordame, soprabiti di lana, e gli odori dei luoghi: la palestra che sa di sudore e corpi trasandati, i pisciatoi che sanno di urina rancida e candeggina e che appaiono all'autore «simboli della sequela delle nostre miserie». C'è un capitolo dedicato ai profumi delle innamorate (con una mirabile pagina sul primo bacio, col suo odore vegetale e zuccherino, di candito, di pasticceria casereccia) e uno ai profumi del sesso femminile: bisogna essere un uomo maturo e uno scrittore vero per sentirvi dentro il cedro, il pane tostato, il muschio, il latte, il caramello.

In un libro dove tutto guarda a ritroso, e dove spesso aleggiano fantasmi di morte, un capitolo è intitolato «Bambino che dorme». E quel bimbo non è più l'autore da piccolo, ma sua figlia: pagine tenerissime che ci parlano dell'odore di carezze e latte, sorrisi e borotalco, insomma della vita che inizia. Che continua.

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