
Quando l'ingegnere Giovanni Battista Pirelli fondava a Milano, nel 1872, la «Pirelli&C.» con l'obiettivo di produrre «articoli tecnici» di caucciù, avviando immediatamente la costruzione di un opificio nell'area adiacente quella che allora era via Ponte Seveso e dove per ospitare gli uffici dell'azienda ormai in eccezionale espansione sarebbe sorto - tra il 1956 e il 1961 su progetto di Gio Ponti e Pier Luigi Nervi - quello che con un accrescitivo diventato eponimo si chiamò “Pirellone”, in quel quando lontano, la bicicletta si chiamava ancora velocipede, e - a rigor di grammatica - davanti al sostantivo «pneumatico» si usava l'articolo «lo». Sarebbero stati gli slogan dell'azienda milanese a imporre l'usanza, entrata subito in tutti i documenti ufficiali e nella parlata comune, dell'articolo «il».
Allora, però, in quella ultima parte di Ottocento, la Pirelli non produceva ancora i pneumatici, o per lo meno non soltanto pneumatici. Era l'epoca in cui dagli stabilimenti, con il marchio della «P lunga» (il logo compare a partire dal 1907) uscivano tele gommate, cinghie di trasmissione, manicotti e raccorderie in gomma, cavi, nastri trasportatori, gommapiuma e poi impermeabili e soprabiti, guanti, borse per l'acqua calda, spugne, tacchi e suole, soprascarpe («Per la signora elegante...»), palloni per football, pavimenti di gomma, gomme per cancellare, giuocattoli di gomma elastica, «articoli di merceria, igiene e chirurgia», come i ciucci per neonati...
Presto, il neonato sarebbe diventato un gigante nel settore degli pneumatici. E a farlo crescere, e a farlo conoscere in Italia e nel mondo, non furono soltanto le strategie di famiglia e la qualità del prodotto, ma anche la pubblicità e la «propaganda». È quella che si chiama la forza della comunicazione. Perché la potenza è nulla senza controllo.
Ecco, la storia di un marchio popolare come Pirelli, e la storia di un pezzo del nostro Paese, passa anche attraverso le forme della comunicazione utilizzate attraverso i decenni, ed entrate nella quotidianità del costume e negli archivi della storia dell'arte, oltre che in quelli dell'azienda. Ed è da lì che la Fondazione Pirelli ha tirato fuori una selezione di materiale pubblicitario, fra bozzetti, cartoline, disegni e manifesti, per realizzare un volume - celebrativo sì, ma che insieme è un catalogo d'arte - dal titolo Una musa tra le ruote. Pirelli: un secolo di arte al servizio del prodotto (Corraini edizioni, pagg. 448, euro 50). Un ulteriore tassello che dimostra la strettissima relazione fra la storia dell'industria e quella della creatività. Sfogliandolo, si attraversano le strade del costume, della grafica, dell'economia, del lavoro e della cultura del Paese. Dal dipinto di Giovanni Sottocornola L'uscita delle operaie dallo stabilimento Pirelli (1891-97) alle campagne pubblicitarie dell'architetto Alessandro Mendini. Il quale, ieri sera, alla Triennale di Milano, ha presentato il volume insieme con i designer Leonardo Sonnoli e Andrea Braccaloni e con il presidente di Pirelli, Marco Tronchetti Provera.
Dal libro esce la nostra storia. C'è un coloratissimo manifesto pubblicitario dei tacchi “Stella” della Pirelli firmato nel 1919 da Nino Nanni e quelli realizzati da Marcello Dudovich negli stessi anni per i primi pneumatici. C'è una cartolina del 1920 - un bimbo e una bimba seduti sul banco di scuola, alle prese con fogli e matite - disegnata da Aldo Mazza per la pubblicità delle gomme per cancellare. C'è un curioso bozzetto (rimasto tale) in cui compare un calciatore con una palla da football Pirelli al posto della testa e che calcia lontano una palla di produzione inglese (pubblicità comparativa ante litteram ) e lo slogan «Va fuori dal campo/ va fuori stranier!» (siamo negli anni dell'acceso nazionalismo fascista). Ci sono i bozzetti di Fortunato Depero per reclamizzare le maschere antigas Pirelli (siamo nel 1938-39, si sta per entrare in guerra). Ci sono i cartelloni degli anni Cinquanta del “riciclato” Gino Boccasile per le «borse per l'acqua calda» e quelli del leggendario Bob Noorda per i pneumatici “Inverno”; ci sono le meraviglie realizzate dai grandi maestri del cartellonismo italiano, come Aldo Mazza e Leonetto Cappiello. E poi una campagna animaliter firmata da Armando Testa, quelle fumettistiche di Riccardo Manzi per il mitico «Cinturato»... e ci sono le illustrazioni d'artista della celebre rivista Pirelli - vero modello di integrazione fra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica - che dal 1948 al 1972, sotto la direzione di Giuseppe Eugenio Luraghi, Arrigo Castellani e Leonardo Sinisgalli, chiede ai protagonisti del panorama letterario e intellettuale dell'epoca, giornalisti, scrittori, poeti, artisti, da Giuseppe Ungaretti a Eugenio Montale, da Leonardo Sciascia a Renato Guttuso, di intervenire su temi legati alla tecnica e all'industria, come su arte, cinema, letteratura, architettura.
In tutto, qui dentro, ci sono 450 immagini di oltre 200 artisti (fra cui Michael Pavel Engelmann, Max Huber, Lora Lamm, Riccardo Manzi, Alessandro Mendini, Giovanni Mosca, Bruno Munari, Albe Steiner, Pino Tovaglia, Massimo Vignelli) per pubblicizzare i prodotti, per illustrare le pubblicazioni aziendali o create
in occasione delle celebrazioni degli anniversari del Gruppo. Nomi, e opere, che fanno parte della storia delle arti figurative, della grafica e della comunicazione d'impresa. E che hanno creato un stile. Lo stile Pirelli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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