A ccetto l'invito, rivoltomi dal direttore del Giornale Alessandro Sallusti, a riprendere la rubrica di poesia Il verso giusto che mi era stata affidata, molti anni fa, da Indro Montanelli.
A cosa servono la poesia e i poeti? A niente!, esclamerà in coro la folla. E fra tutte le voci, spiccheranno più alte quelle dei politici italiani. Ai quali, tuttavia, qualcuno - magari un poeta - potrebbe girare la domanda: a cosa servite voi e i vostri discorsi?
Nella sua Repubblica ideale, Platone condanna i poeti, sostenendo che essi insegnano ciò che non sanno. Ma altrove li esalta chiamandoli «esseri divini» e aggiunge che la poesia è un potere concesso loro dagli dèi. A parte ciò che Platone afferma, va ricordato che lui stesso è uno dei maggiori poeti dell'antichità. Si legga la sua poesia che oggi stesso pubblichiamo, bell'esempio di contraddizione per uno che dei poeti ha detto peste e corna.
Perché, dunque, una rubrica di poesia su un quotidiano (che peraltro molti giornali stranieri hanno)? Perché leggere poesia fa bene allo spirito e rende migliori: se ami la poesia, forse non sei né stupido né malvagio. Perché la poesia, l'arte più antica e imperitura, può costituire un'alternativa. Alle menzogne dei politici e dei dittatori, alla dittatura e alle menzogne degli economisti, che oggi si ritengono gli unici depositari di verità assolute. Alle ciarle dei tuttologi televisivi. Un metro di giudizio alternativo a chi misura tutto con il peso dell'oro e del valsente. Una testimonianza di verità in tempi di confusione e caos.
Perché la poesia è «l'arte sacra della parola» (Milosz), «scaturisce dalle segrete profondità dell'Essere Universale», e ha contribuito alle «trasformazioni del pensiero religioso, politico e sociale».
Perché la poesia è «dispensiera di lampi al cieco mondo» (Cesare Rinaldi, XVI sec.); è «l'inconsolabile consolatrice del mondo» (Ritsos). Perché violenta il conformismo, «acceca con un'altra luce la luce del giorno. Inquieta il mondo quieto. Insegna ad ogni anima la sua ribellione» (Miguel Torga). Perché la poesia, anche quella antica, conserva sempre la sua vitalità: si leggano Saffo o i lirici greci, o si ascolti Benigni leggere Dante.
Perché la poesia può, sì, servire a dar sfogo ai propri birignao sentimentali e a conquistare la persona amata. Ma può aiutare a smascherare i tiranni, a mettere alla gogna i potenti con la loro boria e prosopopea, mostrandoli con le mutande sbottonate, come dice, nella seconda poesia che oggi proponiamo, il greco Titos Patrikios (e chi lo fa oggi non rischia più, come un tempo, la vita o il carcere, almeno in Europa). Perché spesso la poesia è una forma di veggenza che, al di là delle facciate, denuda e mostra l'essenziale.
I nostri sono tempi di zuffe politiche, di insidie dei mercati, di famiglie in crisi, del diffondersi di povertà e indigenza. «Basta restare tre giorni senza mangiare perché il valore supremo diventi un pezzo di pane», ha scritto Gombrowicz. Eppure ci sono stati tempi e Paesi in cui la poesia era un articolo di prima necessità, come il pane. E i nostri sono anche tempi esaltanti di libertà e di accesso alla cultura senza precedenti, di comunicazione e conoscenza alla portata di un clic. Digitate la parola «poesia» su Google: vi usciranno più di 80 milioni di pagine, più di quante basti una vita a leggere.
Oggi la poesia in Italia sembra un bene superfluo, i poeti sono ignorati (e spesso si ignorano l'un l'altro). Pochi li leggono, pochissimi comprano i loro libri. Ma fuori d'Italia io ho visto gente comune fermare e abbracciare i poeti per strada, inginocchiarsi davanti a loro, baciare loro la mano. E in alcune Nazioni essi sono tenuti in grande rispetto. Le loro poesie diventano canzoni cantate dalla gente. Sono invitati a insegnare nelle università, a scrivere sui giornali, a parlare in televisione, a fare reading a pagamento. Si dedicano loro monumenti, aeroporti, strade, anche quando sono ancora in vita. Il Guardian inviò sul fronte di guerra un poeta, Tony Harrison, il quale scrisse reportage in versi indimenticabili, pubblicati in prima pagina. Anche l'Italia dei tempi nostri, non va però dimenticato, nominò senatori a vita Montale (ma occorse prima il Premio Nobel) e Mario Luzi (dopo una grande mobilitazione), e ha assegnato la legge Bacchelli ad alcuni di loro.
Leggere una poesia tra un editoriale, un pastone politico o un articolo di cronaca può invitare alla riflessione, stimolare a guardare dentro se stessi, può farci fermare un attimo a tirare il fiato e a guardare in alto.
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