Il 20 agosto 1914 morì papa Pio X. Erano già in armi Austria e Germania, contro Russia, Francia, Giappone, Serbia: cattolici e protestanti alleati contro altri cristiani, altri cattolici, buddhisti e musulmani. Bastarono tre giorni per eleggere il papa. Benedetto XV aveva 60 anni ed era un eccellente diplomatico. Da sempre i governi europei ricordavano che il papa, nei grandi conflitti, si schierava con l'uno o con l'altro dei contendenti. Fu quindi grande la sorpresa e l'irritazione quando Benedetto scelse una posizione nuova: la neutralità.L'Italia esitava a scendere in campo, benché alleata di Germania e Austria, e questo piaceva a Benedetto.
Obbediente al papa, con l'eccezione di pochi vescovi e sacerdoti, il clero si adoperò perché l'Italia rimanesse fuori dal conflitto ma, come per la Libia, i cattolici erano divisi tra obbedienza e patriottismo. I cattolici dell'Italia moderna hanno una forte tendenza a dividersi in correnti perché sono uniti da un collante più religioso che politico o ideologico e hanno idee diversissime sui fatti che non coinvolgono la Chiesa e la morale. I fedeli, dunque, erano spaccati fra le varie posizioni politiche che laceravano anche i laici: chi voleva entrare a fianco degli alleati, chi contro di loro; chi chiedeva la pace; chi la voleva solo per sfruttarla. In genere i filoimperiali erano intransigenti che vedevano nell'Austria l'ultimo difensore del cattolicesimo contro il pericolo slavo. Altri, di cultura e gusti filofrancesi, acclamavano la guerra all'Austria. La borghesia cattolica era generalmente interventista, come quella liberale; il popolo era più neutralista, come i socialisti.Nella sua prima enciclica Benedetto XV indicò la causa della «disastrosissima guerra» nell'allontanamento degli Stati dai precetti cristiani. Negli anni successivi parlò di «orrenda carneficina che disonora l'Europa», di «suicidio dell'Europa civile», della «più fosca tragedia dell'odio umano e dell'umana demenza».
Il papa e il suo segretario di Stato, Pietro Gasparri, speravano di poter presiedere a Roma una futura conferenza di pace con cui riaffermare sia la neutralità della Chiesa, sia la sua centralità nel mondo. Il ministro degli esteri Sidney Sonnino, ebreo e anticlericale, lo intuì e temette che il Vaticano avrebbe avanzato richieste territoriali. Nel patto segreto di Londra con cui venne decisa l'entrata in guerra dell'Italia pretese che la Santa Sede non partecipasse né ai negoziati per la pace né ai successivi accordi postbellici. Fu un altro grande favore che lo Stato fece, involontariamente, alla Chiesa: non possedere territori le aveva permesso di rimanere estranea alla guerra; non partecipare ai trattati di Versailles evitò al Vaticano di essere coinvolto in quella pace vendicativa contro gli sconfitti che agiterà l'Europa fino alla seconda guerra mondiale.Quando Salandra chiese i pieni poteri per dichiarare la guerra, i deputati cattolici furono per l'intervento: quel che sembrava irrealizzabile fino a pochi anni prima, una posizione filo governativa dei cattolici, si era compiuto grazie alla guerra. Gli anticlericali liberali più accesi erano convinti che il clero agisse al servizio degli stranieri per restaurare lo Stato Pontificio. I socialisti pensavano che la Chiesa complottasse con i capitalisti guerrafondai.
Invece Vaticano, clero e cattolici furono leali verso la nazione.Ben 25mila sacerdoti erano stati arruolati di leva. Il generalissimo Luigi Cadorna, uomo molto devoto, fu contento che si formasse un corpo di 2400 cappellani militari. Il papa non si oppose, e anzi nominò un «vescovo al campo» il quale ebbe dallo Stato il grado di generale. I cappellani svolsero un ruolo importante perché, come disse il vescovo-generale, «in trincea non ci sono atei». Anche gli ufficiali vedevano di buon occhio i soldati confessati e comunicati: sarebbero andati all'assalto con maggiore «sprezzo del pericolo». Fra i soldati-preti ci fu anche qualche eroe, come don Minzoni, poi ucciso dai fascisti, medaglia d'argento per aver guidato un assalto. Nelle parrocchie, i sacerdoti elogiavano il valore ideale della pace, ma sostenevano la guerra e soprattutto frenavano le spinte insurrezionali spontanee della popolazione affamata, in particolare nel terribile inverno 1916-17.Si arrivò ugualmente a una piccola crisi Chiesa-Stato dopo che Benedetto XV, l'1 agosto 1917, diffuse una nota con proposte di pace.
La «lettera ai capi dei popoli belligeranti» non conteneva molto di nuovo, e nessuna potenza si affrettò a rispondere. Ma la situazione italiana era delicata: i combattimenti andavano male, e il Paese era lacerato dalla propaganda socialista per uscire dal conflitto, un'idea che piaceva sempre più. Ci mancava solo la nota del papa, che i socialisti accolsero con entusiasmo, facendo propria l'espressione «inutile strage». Il governo rispose non con un messaggio del re o del presidente del Consiglio, ma con una dichiarazione in Parlamento del ministro degli Esteri, come si trattasse di un'interpellanza. Sonnino insinuò che la nota aveva qualcosa in comune con «le comunicazioni da parte nemica» e che sapeva «alquanto di comunicazione germanica». In Germania invece dissero che il papa non voleva la vittoria degli imperi centrali. In Francia soprannominarono Benedetto «papa crucco»...
Ma i cattolici continuarono a combattere. Nessuno poteva più pensare che si alludesse a loro quando il generale Cadorna, dopo il disastro di Caporetto, sostenne che «l'esercito non cade vinto dal nemico esterno ma da quello interno».
In realtà non cadeva né per quello esterno né per quello interno, ma per l'intrinseca debolezza del Paese, che uscì dalla guerra vittorioso ma stravolto. Il vero nemico da battere, per la borghesia liberale e per quella cattolica, era il socialismo irreligioso che si era opposto alla sacra guerra vittoriosa. Di lì a poco sarebbe nato il fascismo.@GBGuerri- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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