Quando il tempo di Proust non era ancora perduto

"Occorre amare per sapere che non si è amati. Quando non si ama più, si è sempre amati abbastanza". parola di Marcel Proust

Quando il tempo di Proust non era ancora perduto

Per gentile concessione della casa editrice Theoria pubblichiamo un brano della nuova traduzione italiana di Jean Santeuil, l'opera giovanile di Marcel Proust. Il romanzo incompiuto dell'autore della Recherche sarà nelle librerie da giovedì 15 marzo.

Entrò. Lei non era nel salottino, ma, senza vederla, sentì la sua voce arrivare dal salone. Stava giocando a carte. Rimase nel salottino, certo e spaventato di vederla. Poi venne e lo salutò distrattamente. Presto, si cominciò a giocare all'anello. Posizionato fra le due più graziose donne della serata, guardava continuamente l'uomo seduto accanto a lei e, pensando che non era lui, che avrebbe potuto esserlo e che non lo era, non riusciva a stare fermo. Si lasciò prendere l'anello e, quando si ritrovò nel mezzo, vedendolo passare di mano in mano, non si muoveva e lo seguiva con lo sguardo. Tutti dicevano: «Se Jean non lo prende, è perché non vuole, lo ha sicuramente visto». Ma nessuno intuiva cosa volesse. E Jean, vedendola così bella, così indifferente e così allegra, lei che senza prevederlo, forse perché si annoiava, sarebbe stata la sua vicina, si diceva: Non sospetta nulla e quando avrà visto, non capirà. E se capisse, si arrabbierebbe. Aspettò che l'anello arrivasse al vicino di Charlotte. Allora si slanciò, gli aprì le mani e lo afferrò. E siccome l'altro era stato preso e si era alzato per spostarsi al centro del cerchio, Jean poté sistemarsi al suo posto accanto a Charlotte. Come lo aveva invidiato poco prima, vedendo le mani dei vicini di Charlotte scivolare lungo lo spago e incontrare proprio la mano di quest'ultima. Ora, troppo timido per avvicinare la sua, troppo emozionato per godere di quella presenza, sentiva solo il cuore battere all'impazzata e dolorosamente. A un certo punto, Charlotte, per far credere di avere l'anello, si piegò verso Jean con un cenno d'intesa.

Egli non si fece abbindolare, ma riprese a immaginare la dolce beatitudine che avrebbe potuto provare se solo un giorno lo avesse amato, e se avesse voluto cercare la stessa intesa con lui anche fuori dalla breve finzione del gioco. Mentre l'impossibile speranza di quel sogno lo accarezzava, e il suo viso abbattuto e pallido per la sofferenza luceva di un debole raggio autunnale di fine pomeriggio, sentì la mano di Charlotte accarezzare delicatamente la sua e il dito di lei fare una leggera pressione sul suo. Alzò la testa e ne incontrò lo sguardo luminoso. Se, d'inverno, provate a lanciare un pezzo di ghiaccio trasparente in un ruscello, subito il ghiaccio che non avevate potuto distinguere sorge sulla superficie mobile dell'acqua, la cristallizza, e non c'è più acqua. In un secondo, il ruscello è ciò che, per essere, aspettava solo quel nonnulla: una distesa di ghiaccio. Mi ama! «Su, prendetelo!» disse Charlotte a bassa voce e con rabbia, mollandogli di forza l'anello in mano. «È un'ora che provo a passarvelo».

Di colpo, Jean lasciò lo spago. L'uomo nel cerchio vide l'anello, ci si buttò, lo prese, e Jean, che si sentiva svenire, dovette alzarsi, mettersi in piedi nel cuore del rumoroso cerchio di giocatori sghignazzanti, fare attenzione, cercare di riacciuffare l'anello, rispondere, ridere a sua volta. Ma Charlotte non smetteva d'insultarlo: «Questa è l'ultima volta che gioco con uno così distratto. Non si gioca quando non si vuole prestare attenzione. Juliette, se lo inviti di nuovo, io non verrò». Jean finse di avere un appuntamento e uscì. Charlotte lo salutò con dolcezza, egli pensò che si fosse pentita di quella violenza, e aspettò per strada che uscisse. Forse si sarebbe scusata, gli avrebbe spiegato i motivi della sua indifferenza. «Come, siete ancora qui?» disse Cachtan che stava uscendo. «E il vostro appuntamento?». Jean si sforzò di sorridere e non poté impedire a Cachtan di accompagnarlo. Quando fu rincasato, si disse: Ora starà passando per rue Madame. Non la vedrò più. Qualunque cosa possa accadere, questo non è possibile. È la sola cosa che non può verificarsi. Se anche mi amasse, non verrebbe a bussare alla mia porta. Forse domani mi scriverà, chiedendo di parlarmi. Se lo facesse per dirmi quanto mi odia, almeno potrei dirle che l'amo, costringerla ad ascoltarmi, farle capire che è una follia rinunciare a me. Si spogliò lentamente. Ogni suo movimento aveva la rassegnata lentezza di un uomo che continua a sperare e a soffrire. I suoi occhi pieni di angoscia incontrarono a un tratto la calma del letto, sul cui bordo sottile e dritto il lenzuolo era piegato a metà e faceva pensare a un'ala bianca. «Caro amico fedele» esclamò, «sempre dolce, fresco, profondo e sicuro, ancora una volta accoglierai il mio corpo ardente e straziato, instancabile a stancarsi, a patire perennemente».

Di sera in sera, risalì a quella in cui aveva a lungo pianto, con la faccia contro il cuscino, dopo tutte le dimostrazioni d'indifferenza che Marie Kossichef gli aveva dato, senza che avesse potuto rassegnarsi a crederci. Quante volte, da allora, ho dovuto patire pene assurde, e più assurde speranze. Non ci sarà mai felicità per me. Nulla cambia. Aveva infilato la camicia da notte, bianca, corta e limpida come all'epoca della sua innocenza. Oh, mio caro lettino! Accogli ancora il ragazzino triste di un tempo. Come te non sono cambiato, e berrai sempre le stesse lacrime fino a quando sarò in vita o non sarai tutto logoro; ma no, non potrei, almeno te, conservarti finché non muoia? Non mi lasciare, mio unico amico. E siccome il lenzuolo era molto alto, poté ripiegarlo e farne un morbido cuscino sopra le spalle. Anche la sua bocca scomparve e, come quando era piccolo, ebbe bisogno di risalire per respirare. Un giorno soffocherai, gli diceva la governante. Sorrise, con una mano prese l'altra e la baciò. Si asciugò le lacrime. Dopo tutto si disse, una volta che non l'ho più amata, mi son reso conto che Marie Kossichef mi voleva molto più bene di quanto credessi, e che allora avrei potuto tranquillamente sposarla. E così, tante altre cose. Allora, se tutto ciò che desideriamo un giorno sarà alla nostra portata, perché affliggerci e non avere pazienza? Le cose che vogliamo, un giorno ci apparterranno senz'altro. Sì, ma quando non le desidereremo più. E ciò che allora definiamo il nostro potere sulle cose, forse è solo la totale mancanza di un'autentica esigenza su di esse. Occorre amare per sapere che non si è amati. Quando non si ama più, si è sempre amati abbastanza. La sua camicia aveva un bottone in meno. E sentiva freddo al collo. Andò a prendere un piccolo scialle di sua madre - lavorato a maglia - con il quale, quand'era ancora un bambino, era solita avvolgergli i piedi per scaldarli. Quello scialle custodiva così buona parte di quella calda tenerezza e di quel passato freddoloso.

Finalmente, se lo passò intorno al collo con grande delicatezza, come avrebbero fatto le braccia di sua madre. Immaginò di appoggiare la testa sul seno di lei, come capitava tutte le volte che era triste o malato; e, ripiegata l'ala bianca del lenzuolo sul proprio corpo, si addormentò.

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