Quel fascismo culturale della sinistrail commento 2

di Gianfranco de Turris

L'articolo di Luigi Mascheroni, La sinistra che scippa autori e idee alla destra, sul Giornale di venerdì, focalizza esattamente l'attrazione fatale e apparentemente inspiegabile che scrittori e critici sinistri hanno per il mondo conservatore, reazionario e addirittura «fascista». Agli esempi eloquenti portati da Mascheroni si può aggiungere l'opera di Furio Jesi che riprese autori di cui si occupò per primo in Italia Julius Evola, ad esempio Bachofen e Spengler, per riproporli con una interpretazione opposta e, ovviamente, l'unica valida e accettabile per sempre. Però bisogna andare più a fondo e capire il motivo per cui l'intellighenzia, oggi più di ieri, non ammette che esistano autori «di destra» e un metodo critico che si basa su presupposto non «di sinistra», accettandolo pur dicendosene contrari. No, lo si denigra e rifiuta accusandolo di falsità e strumentalizzazione. Questo atteggiamento deriva da un'ideologia, una visione del mondo totalitaria e totalizzante: non possono concepire che esistano punti di vista diversi e opposti ai loro. Inizialmente dominava un'effettiva egemonia culturale del PCI che poteva ostracizzare autori e idee senza conseguenze. Da quando il PCI non esiste più, ma la mentalità egemonizzante è rimasta, allora si tenta di «recuperare» in ritardo gli autori che una volta si erano disprezzati. Nulla vieta questo tentativo di «recupero», quel che non si può tollerare è la prosopopea, lo sprezzo che lo governa al punto di sostenere che l'unica interpretazione valida, corretta, è quella «di sinistra». Alla base il concetto che un autore può essere accettato del tutto e senza riserve soltanto se considerato «di sinistra» o se si può interpretare e strumentalizzare «da sinistra». In tal caso si è con la coscienza ideologica a posto. L'accusa di «fuga dalla realtà» nei confronti della letteratura dell'Immaginario e la conseguente loro condanna, se l'è inventata l'intellighenzia progressista, e Tolkien ne venne incolpato quando negli anni Trenta pubblicò Lo Hobbit (il saggio Sulle fiabe fu la sua replica teorica) e lo stesso gli accadde quando Il Signore degli Anelli fu tradotto da Rusconi nel 1970. L'Italia è stato l'unico Paese al mondo in cui Tolkien venne aggredito in questo modo politico-ideologico dalla cultura dominante, cioè quella di sinistra. Infatti, la struttura mentale totalitaria degli intellettuali progressisti, non riuscendo a inserire nella propria griglia di valori un certo autore, lo rifiutava a priori. L'attuale tentativo di «recupero» è iniziato quando ci si è resi conto dal 2003 con i film di Peter Jackson che si trattava di un fenomeno popolare mondiale, uno dei rari su cui la cultura di sinistra italiana non avesse esercitato la propria egemonia, e si è cercato di correre ai ripari. Ma il solo modo per farlo è stato quello di calunniare i nemici ideologici (che però lo avevano letto e studiato per oltre trent'anni).

Finché ci sarà qualcuno che scriverà e dirà in pubblico, come è accaduto, che l'interpretazione mitico-simbolica è una interpretazione «fascista» secondo i canoni degli anni Cinquanta stabiliti da György Lukàcs con La distruzione della ragione, e quindi da respingere senza discutere, e sin quando ci sarà chi dirà che destra e cultura sono incompatibili, allora varrà dire che saremo semplicemente tornati al passato, un passato che non si vuol far passare.

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