Quel piccolo eroe che sfidò l'indifferenza della natura

Quel piccolo eroe che sfidò l'indifferenza della natura

di Denis Johnson
N ell'estate del 1920, quando Grainier tornò dal lavoro al Robinson Gorge con quattrocento dollari in tasca, viaggiando su una carrozza passeggeri fino a Coeur d'Alene, in Idaho, e poi a bordo di un carro su per il Panhandle, un incendio stava devastando la Moyea Valley. Viaggiò attraverso una nube di fumo sempre più densa fino a Bonners Ferry, e trovò la cittadina piena di gente che aveva perso la propria casa lungo il fiume.
Grainier cercò la moglie e la figlia tra i fuggiaschi. A molti, ridotti in miseria, non restava che andarsene. Nessuno aveva notizie della sua famiglia.
Si mise alla ricerca in mezzo alla folla di un centinaio di persone accampate nella zona della fiera tra i resti dei propri beni materiali, accozzaglie casuali di oggetti come bambole, specchi e briglie, tutti fradici d'acqua. Queste persone erano riuscite a guadare il fiume, ad attraversare l'incendio e uscirne fuori dal lato meridionale. Di quelle che si erano dirette a nord e avevano cercato di correre più veloce delle fiamme, invece, non si sapeva più niente. Grainier interrogò tutti, ma non ricevette notizie della moglie e della figlia, mentre la sua agitazione aumentava davanti alla strana felicità dei fuggiaschi che l'avevano scampata, e al loro evidente disinteresse per il destino di chi forse non ce l'aveva fatta.
Lo Spokane International diretto a nord era fermo a Bonners, e sarebbe ripartito solo quando l'incendio fosse cessato e una bella pioggia avesse inzuppato il Panhandle. Grainier camminò per trenta chilometri lungo la Moyea River Road per raggiungere casa sua, avanzando sotto un'argentea nevicata di cenere, con il naso e la bocca coperti da un fazzoletto che si fermava spesso a bagnare nel fiume. Lì non bruciava niente. L'incendio era cominciato sulla riva orientale, poco più su del villaggio di Meadow Creek, poi si era diretto verso nord, attraversando il fiume sopra una stretta gola grazie al ponte creato dagli enormi abeti rossi abbattuti dalle fiamme, e aveva divorato la vallata. Meadow Creek era deserta. Grainier si fermò lungo i binari della ferrovia a bere un po' d'acqua da un barile, poi ripartì subito, senza riposare. Ben presto si ritrovò in mezzo a una foresta di giganteschi spuntoni carbonizzati, che fino a pochi giorni prima erano alberi sempreverdi. Il mondo era grigio, bianco, nero e acre, senza nessun animale o pianta viventi, non più in fiamme ma ancora pieno del calore e della vita del fuoco. Tutta quella cenere, tutto quel fumo soffocante: a distanza di qualche chilometro aveva già capito che della sua casa non poteva essere rimasto nulla, eppure andò avanti lo stesso, piangendo per sua moglie e sua figlia, chiamando senza sosta: «Kate! Gladys!». Uscì dalla strada principale per passare dalla casa degli Andersen, la prima dopo Meadow Creek. Da principio non riuscì neppure a individuare il punto in cui era sorto l'edificio. Il terreno degli Andersen era identico al resto della vallata, bruciato e silenzioso tranne che per il sibilo collettivo degli ultimissimi resti della combustione. Grainier vide la cucina economica che spuntava da un alto mucchio di cenere, le zampe di ferro deformate dal calore. Alcune delle pietre più grosse del focolare erano sparse lì accanto. Il resto era sepolto dalla cenere.
A mano a mano che procedeva verso nord, gli schiocchi dei tronchi spezzati e il sibilo della combustione diventavano sempre più forti, finché non si accorse che ogni albero carbonizzato intorno a lui emetteva ancora fumo. Dietro una curva sentì il rombo dell'incendio, e poi lo vide, circa un chilometro più avanti, come un sipario nero e rosso calato da un cielo notturno. Persino a quella distanza, la temperatura gli impedì di proseguire. Crollò in ginocchio, si sedette sullo strato di cenere calda che copriva la strada e scoppiò a piangere.
Dieci giorni dopo, quando lo Spokane International ricominciò a viaggiare, Grainier lo prese per arrivare a Creston, in British Columbia, e poi da lì, quella sera stessa, per scendere di nuovo a sud attraverso la valle dove aveva vissuto. Le fiamme si erano arrampicate lungo i fianchi della valle e si erano fermate a metà del versante opposto delle montagne, secondo i resoconti che Grainier aveva ascoltato con attenzione. Avevano sventrato la valle da cima a fondo, come un fuoco di bivacco in una trincea.

Per tutta la vita Robert Grainier avrebbe ricordato vividamente la valle bruciata al calar del sole, la cosa più simile a un sogno che avesse mai visto da sveglio: i brillanti colori pastello del cielo al tramonto, con alcune nuvole alte e bianche che ricevevano la luce da oltre la vallata, e altre striate, grigie e rosa, le più basse che sfioravano la cima dei monti Bussard e Queen; e sotto quel cielo favoloso la valle nera, completamente immobile, attraversata dal treno che faceva un gran baccano senza riuscire a risvegliare quel mondo morto.
© 2013 Arnoldo Mondadori
Editore S.p.A., Milano
Per gentile concessione di Marco Vigevani
Agenzia Letteraria

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