Quell'Emilio Salgari bohémien e randagio

Se avesse potuto scegliere per sé una vita avventurosa e allo stesso tempo spensierata, Emilio Salgari non avrebbe deciso di diventare un esploratore, un capitano di lungo corso né tantomeno un pirata, ma avrebbe preferito l'esistenza del bohémien. Confessò lui stesso questo desiderio fra le pagine de La Bohème italiana. Un romanzo scanzonato e in parte autobiografico che pubblicò nel 1909, due anni prima di suicidarsi. Il libro viene riproposto oggi dalle Edizioni Bordeaux (pagg. 196, euro 14), che restaurano il contenuto del manoscritto originale grazie agli appunti e alle note raccolte da Giuseppe Turcato. I curatori Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi così spiegano la genesi dell'opera: «nell'edizione a stampa originale vennero soppressi numerosi riferimenti allo scrittore, all'editore e alla città di Verona. È probabile che sia stato l'editore a suggerire i cambiamenti, come sembrerebbero indicare alcune annotazioni sul testo originale non riconducibili alla scrittura di Salgari ma attribuibili a Enrico Bemporad. Queste correzioni vennero concordate con lo scrittore per evitare che La Bohème italiana apparisse come uno scritto autobiografico».
A narrare le vicende in prima persona è il poeta squattrinato Ferrol, di origini veronesi, che decide di recarsi in campagna con un colorito gruppo di compagni di scorribande con i quale intende fondare una colonia d'artisti. I lettori assistono così a una serie di zingarate degne di personaggi come Arrigo Boito, Iginio Ugo Tarchetti e Carlo Dossi. Scherzi che condurranno l'allegra compagnia a trasferirsi nella cosiddetta «topaia artistica». Un casolare di Lucento, nel comune di Venaria, dove gli scanzonati bohémien «alternano digiuni forzati a mangiate e bevute senza ritegno, ricorrendo a un'infinità di espedienti per sbarcare il lunario e continuare la loro vita randagia e dissoluta».
Fra i numerosi proseliti che farà la compagnia c'è anche... Emilio Salgari. È divertente il ritratto di se stesso che il papà del Corsaro Nero mette in pagina: «Bel tipo quel letterato! Un omettino magro, fra i 30 e i 40, dai baffi biondi, tutto nervi e muscoli. Se godesse una bella fama come letterato, io non lo so. Si piccava però di essere una celebrità, ma io credo che i suoi famosi lavori dormissero negli scaffali polverosi dei librai. Tipo alla buona del resto, buon compagnone, e soprattutto vero bohémien di istinti randagi. Si diceva che avesse girato mezzo mondo e forse era vero perché parlava dell'America e della Cina come se non avesse abitato altri paesi». Uno scrittore la cui fantasia si accenderà fra le pareti della Topaia artistica: «era bello vederlo quando descriveva qualche scena di cannibalismo o qualche combattimento navale.

I suoi occhi, ordinariamente così tranquilli e chiari, mandavano baleni; i suoi lineamenti diventavano feroci come quelli dei personaggi che descriveva e dalle sue labbra sfuggivano sibili orali e mormorii, tali da credere talvolta, che la Topaia fosse stata invasa da un reggimento di serpenti».

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