Qui era tutta campagna. Ma il poeta ne fece un mito.

A Casarsa nei lughi dell'autore friulano d'adozione. In una bella mostra, il ritratto dell'artista da giovane.

Qui era tutta campagna. Ma il poeta ne fece un mito.

Casarsa della Delizia, provincia di Pordenone, è un paese come ce ne sono migliaia nella Pianura padana. Pier Paolo Pasolini (1922-1975) ha innalzato la sua patria adottiva a scenario mitologico attraverso la poesia. Si resta stupiti dall'umiltà di luoghi e monumenti, coperti prima di amore e poi di rabbiosa disillusione nell'arco di una vita inquieta che ha avuto sempre, come centro sentimentale e morale, il mondo contadino del Friuli, dove il poeta abitò fisso dalla fine del 1942 al 1949.
Ci sono ancora le Chiese. C'è il Glisiùt (la chiesetta) di Santa Croce, amata dalla cittadinanza. Tra affreschi meravigliosi del Pordenone e di Amalteo, si legge la lapide votiva che ricorda il passaggio dei Turchi in Friuli nel 1499. Casarsa fu risparmiata. La vicenda ispirò a Pasolini un dramma in lingua friulana, I Turcs tal Friul (i Turchi in Friuli, maggio 1944). Chiare le allusioni all'occupazione tedesca. C'è la Chiesa parrocchiale di Santa Croce e Beata Vergine del Rosario dove Pier Paolo e suo fratello Guido si nascosero per evitare i rastrellamenti nazisti. A Versuta, nei pressi di Casarsa, c'è la Chiesa di Sant'Antonio Abate, con affreschi portati alla luce da Pasolini, vedremo come. Accanto ci sono le case dove Pasolini si trasferì quando la famiglia fu costretta a sfollare dai bombardamenti sullo snodo ferroviario di Casarsa. Poco più lontano, in mezzo a un vigneto (prosecco) c'è il Ciasèl (il casello), un ripostiglio per gli attrezzi agricoli poco più grande di uno sgabuzzino dove Pier Paolo insegnava ai ragazzini che non potevano più andare a scuola nei paesi circostanti, essendo gli spostamenti troppo pericolosi. Quando il tempo era buono, Pasolini faceva lezione sul prato, all'ombra di due grandi pini (ora ci sono un pino e un fico). Proseguiamo. La loggia di San Giovanni, frazione di Casarsa, rosseggia ancora in piazza. Lì i militanti di ogni fazione politica appendevano cartelloni propagandistici. A San Giovanni, Pasolini fu segretario di sezione del Partito comunista.
Poi c'è Casa Colussi, nel centro di Casarsa. La casa materna. Casa Colussi era ampia, il nonno di Pier Paolo aveva allargato la proprietà per installare una piccola distilleria che ne fece la fortuna di imprenditore locale. Oggi Casa Colussi è sede del Centro Studi Pasolini, una preziosa realtà presieduta da Flavia Leonarduzzi. Il Centro Studi ha un archivio in continua espansione: una miniera tutta da studiare. In questi giorni, ha inaugurato una mostra imperdibile. Prima facciamo un giro per la casa, accompagnati da due guide d'eccezione, i curatori Piero Colussi e Rienzo Pellegrini (il terzo è Patrizio De Mattio). Eccoci nella stanza di Pier Paolo, i mobili sono ancora i suoi. La scrivania ci ricorda che i documenti del Centro hanno una particolarità unica: per la maggior parte sono stati scritti nel luogo in cui sono conservati ed esposti... Ci sono molte fotografie di Pasolini calciatore con la maglia del Casarsa nel 1941. Ci sono altre stanze che hanno il sapore del quotidiano. Sono spartane, per molti motivi, ma lasciano intuire che la famiglia Pasolini non se la passava male dal punto di vista economico. Solidità piccolo borghese. Scendiamo fino al cortile dove si può entrare all'Academiuta de lengua furlana, l'Accademia di lingua friulana fondata da Pasolini. È una stanza non molto vasta, ci staranno una decina di persone sedute. Soprattutto ci sono i dipinti di Pasolini in vista di un futuro allestimento. Colussi e Pellegrini fanno notare che alcuni quadri sono dipinti su normale carta da pacchi, il tipo più umile di tela.
La Academiuta fu fondata il 18 febbraio 1945. L'immagine commemorativa venne affidata all'obiettivo di un quindicenne di Casarsa dal grande futuro: Elio Ciol, fotografo esposto in tutto il mondo. Proprio a lui chiediamo come andarono le cose. «Pasolini mi disse di portare la macchina fotografica. Fu uno dei miei primi scatti. Si misero in posa sotto alberi altissimi. Mi parve suggestivo». E poi che avete fatto quel giorno? «Pasolini ci ha portati alla Chiesetta di Versuta, con le cipolle». Scusi, cosa c'entra la cipolla? «Pier Paolo aveva capito che sotto l'intonaco c'era qualcosa. Per ripulire senza rovinare l'affresco si strofina la parete con la cipolla. L'affresco c'era, antico di secoli. L'ha visto?». Sì. Che tipo era Pasolini, aveva il tono del professore con voi? «Per niente, era un maestro e un amico. In paese, all'epoca, era molto apprezzato, soprattutto dalle signore anziane, che trattava con un garbo speciale». «All'epoca» significa prima dei fatti di Ramuscello, altro paese della zona, cioè il processo per atti osceni e corruzione di minorenni che costerà il posto di insegnante a Pasolini e lo costringerà alla fuga verso Roma. Chiediamo lumi alla presidente del Centro Studi. Pasolini è amato qui a Casarsa? «Ora qualcosa è cambiato ma in passato Pasolini era un nome che quasi non si poteva pronunciare». Eppure il teatro è intitolato a lui. «Ha aperto nel 2007. Avrà notato che il Centro studi sorge in via Guido Alberto Pasolini, il fratello partigiano di Pier Paolo. I fatti di Ramuscello sono rimasti come un marchio». Tutta colpa di quelle vicende, dunque? «Principalmente. Andarono a sommarsi al fatto che Pier Paolo aveva scelto il Partito comunista, con sorpresa generale, visto che Guido Alberto era stato ucciso dai partigiani gappisti».
E ora la mostra. Il titolo è L'Academiuta e il suo «trepido desiderio di poesia». Gli anni friulani di Pasolini (fino al 3 ottobre 2021). Bacheca dopo bacheca, manoscritto dopo manoscritto, dattiloscritto dopo dattiloscritto, esce un ritratto a tinte forti. Prendiamo Poesie a Casarsa, l'esordio in friulano stampato a Bologna nel 1942. Le redazioni anteriori alla pubblicazione raccontano una storia complessa. Inizialmente Poesie a Casarsa era scritto in italiano. Poi Pasolini si tradusse in un friulano di sua invenzione, che nasceva dai giri in bicicletta nella Bassa, durante i quali annotava parole e modi di dire. Infine, insoddisfatto, il poeta sciacquò i panni nel Tagliamento e si avvicinò a una varietà più realistica di friulano, quello di Casarsa. Dall'italiano al friulano, quindi. Il procedimento però non è univoco. A volte, specie nei versi confluiti nell'Usignolo della Chiesa cattolica, Pasolini riscrive in italiano poesie e prose liriche nate in friulano (vedi immagini nelle pagine seguenti). Le diverse stesure rivelano la natura di Poesie a Casarsa e l'impronta data agli studi e alla piccola cerchia di autori della Academiuta. Innanzi tutto, perché il friulano? Perché è una lingua autentica e vergine. Prendere le distanze dall'italiano burocratico significa prendere le distanze dal regime fascista, dal centralismo e dall'ipocrita mondo del padre colonnello, uomo tutto d'un pezzo. Il dialetto non c'entra niente, tanto meno il folclore. Il friulano è una lingua preziosa paragonabile all'antico provenzale o al catalano. Infatti nelle Poesie a Casarsa forte è la presenza dei trovatori medievali. Secondo. Perché l'ulteriore passaggio da friulano a friulano di Casarsa? Non dobbiamo dimenticare che Pasolini inaugura una tradizione, prima di lui, a suo modo di vedere, non c'è nessuno, solo poeti vernacolari. Di correzione in correzione, Pasolini cerca di essere più realistico. Questa operazione verità va di pari passo con l'eliminazione del troppo popolare. Pasolini punta alla grande lirica con una lingua aurea, antica e insieme nuova di zecca perché mai scritta prima di allora. Pier Paolo sta fondando una lingua e una letteratura, niente di meno: un'impresa titanica, la più ambiziosa della sua carriera. Ha circa vent'anni, talento precoce come l'amato Arthur Rimbaud. Tutto questo emerge dalle carte esposte nella mostra, che ha un significativo valore scientifico. In un'immaginaria parte seconda, si potrebbe dimostrare che Pasolini è forse l'ultimo poeta di una tradizione che parte appunto dalla lirica provenzale, passa per la poesia del Trecento e approda, dopo una storia secolare, a Pascoli, non a caso oggetto della sua tesi di laurea.


Quando usciamo in via Guido Alberto Pasolini, il fratello martire della brigata Osoppo, trucidato dai gappisti, suonano le campane, l'aria è cristallina dalla parte delle montagne e abbagliante da quella del mare. Siamo in mezzo, nella Bassa. Per un attimo, pare di potersi girare, vedere Pier Paolo e dirgli: «Dai, andiamo dietro la Chiesa a giocare al pallone».

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