Storia d'assalto

Saburo Sakai, la storia del "samurai del cielo"

La storia di Saburo Sakai, il samurai del cielo dell'aviazione navale nipponica sopravvissuto alla guerra mondiale

Saburo Sakai, la storia del "samurai del cielo"

“Nella Marina Imperiale imparai soltanto come diventare padrone del mio caccia e come uccidere i nemici del mio Paese. Questo fu il mio unico compito per quasi cinque anni, in Cina e nei cieli del Pacifico. Non conobbi altro genere di vita: ero solo un guerriero dell'aria”.

Queste stringate parole che riassumono molto efficacemente il pensiero e la filosofia di vita dei piloti nipponici durante la Seconda Guerra Mondiale, sono di Saburo Sakai, il primo degli assi giapponesi ad essere sopravvissuto a quel conflitto sanguinoso.

Sakai ha ogni diritto a definirsi un guerriero: la sua famiglia di contadini, prima del XIX secolo, apparteneva all'aristocrazia guerriera dei Samurai.

Nato a Saga, nell'isola di Kyushu, il 26 agosto del 1916, Sakai cresce come un ragazzo ribelle che non riesce a esprimersi negli studi, pertanto, ad appena 16 anni, nel 1933 si arruola nella Marina Imperiale. Dopo un addestramento brutale, nel 1935 supera l'esame di ammissione alla Scuola di Artiglieria Navale e sei mesi dopo riceve il suo primo imbarco sull'incrociatore da battaglia Haruna, un'unità che ha combattuto in quasi tutti gli scontri navali maggiori della guerra nel Pacifico e che è stata affondata durante un attacco aereo nella baia di Kure il 27 luglio 1945, a pochi giorni della resa del Giappone. Sembra uno scherzo del destino, ma così come l'incrociatore, anche Sakai combatterà sino alla fine, come un vero Samurai.

Nel 1937 Sakai fa parte dei 70 – su 1500 aspiranti – ammessi al corso di pilotaggio della Marina e qui il giovane dimostra di essere nato per quella vita: alla fine del corso è il primo classificato su 25 allievi rimasti.

Comincia così la storia di uno degli assi della caccia giapponese, una storia che percorre tutta la guerra nel Pacifico e in Asia e che testimonia il valore non solo dell'uomo, ma di un'intera categoria: quella degli aviatori.

Sakai viene inviato in Cina, dove il Giappone ha in corso un conflitto cominciato proprio nel 1937, e ai comandi del suo Mitsubishi A5M “Claude”, un caccia con carrello fisso e tettuccio aperto come da classico per le costruzioni dei primi anni '30, abbatte il suo primo aereo il 22 maggio 1938: un Polikarpov I-16 cinese.

Sakai è fortunato: la sua inesperienza lo ha messo più volte in pericolo durante quel combattimento aereo, tanto che il suo comandante di stormo gli urla, letteralmente, che è un miracolo che sia ancora vivo. Il giovane però ha la stoffa del guerriero e affina le sue doti di pilota in breve tempo. Dopo un turno di riposo in patria, torna in Cina stavolta ai comandi dell'ultima creazione aeronautica di Mitsubishi: il caccia A6M tipo 0 modello 11, meglio noto come “Reisen” o Zero, che volò per la prima volta il primo aprile del 1939. Con lo Zero Sakai abbatte un secondo I-16 e ne distrugge un altro al suolo. Intanto la campagna di espansione nel Pacifico Occidentale del Giappone prosegue, e Sakai viene così spedito a Formosa a settembre del 1941, per prepararsi all'attacco alle Filippine, che sarà effettuato lo stesso giorno in cui la squadra di portaerei ai comandi dell'ammiraglio Nagumo attaccò Pearl Harbor, nelle Hawaii.

Quella mattina dell'8 dicembre, il 7 nelle isole hawaiane, Sakai è di scorta con altri 44 caccia Zero a 53 bombardieri G4M che attaccano la base americana di Clark Field a Luzon. L'attacco coglie i velivoli americani a terra, che vengono falciati dalle mitragliatrici degli Zero, ma una pattuglia di P-40 riesce comunque a intervenire per cercare di contrastare i giapponesi. Sakai abbatte immediatamente uno dei caccia, facendo registrare la prima vittoria aerea in assoluto contro un velivolo americano della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico. Due giorni dopo Sakai è di nuovo in azione, e abbatte il suo primo bombardiere, un B-17 che viene attaccato frontalmente mettendo in pratica la tattica studiata da tedeschi e italiani per colpire efficacemente la Fortezza Volante americana pesantemente armata di mitragliatrici. L'avanzata nipponica è travolgente e punta alla Malesia: il 19 febbraio del 1942, nel cielo di Surabaja, 23 zero fanno strage di una cinquantina di caccia olandesi: Sakai in quella occasione ne abbatte 3 confermati giungendo, a fine mese, ad aver accumulato 13 vittorie totali, oltre a diverse non confermate.

Il 12 marzo lo stormo di Sakai si trasferisce da Bali a Rabaul, nella Nuova Britannia, e quindi da qui a Lae, sulla costa orientale della Nuova Guinea, dove giunge l'8 aprile. L'11, mentre è in volo su Port Moresby sotto attacco nipponico, abbatte due P-39 Aircobra, e da quel momento comincia per lui, e per il suo stormo, un'intensissima attività che lo vedrà quotidianamente impegnato contro i caccia e i bombardieri statunitensi e australiani. Durante quella campagna Sakai fa registrare record su record: il primo maggio del 1942 abbatte un P-40 e due P-39 in soli 15 secondi di duello aereo, ma sarebbe meglio dire “di tiro al tacchino”, mentre il 16 giugno fa registrare quattro vittorie in un solo giorno.

Intanto comincia la campagna di Guadalcanal, nelle Isole Salomone, e gli Zero affrontano i caccia F4F Wildcat dell'U.S. Navy. Il Wildcat è un velivolo inferiore sotto quasi tutti gli aspetti in confronto al Reisen, ma i piloti americani combattono con coraggio e aggressività. Proprio durante uno dei tanti attacchi nipponici alla testa di sbarco americana nell'isola, la fortuna sembra abbandonare Sakai. Una mattina 27 bombardieri G4M “Betty” scortati da 18 Zero giungono, a 4500 metri di quota, su Guadalcanal, e il pilota giapponese avvista una formazione di otto aerei, che al suo avvicinarsi si stringono invece di disperdersi: si tratta di aerosiluranti Tbf Avenger, un velivolo che Sakai non aveva mai visto prima e che, per le sue linee generali, può essere scambiato per un Wildcat dalla lunga distanza. Quando si accorge dell'errore è ormai troppo tardi, allora Sakai, a 300 metri dalla formazione, preme selvaggiamente il pulsante di sparo dei suoi cannoncini da 20 millimetri. Il suo Zero viene letteralmente investito da una grandinata di proiettili dalle mitragliatrici posteriori degli Avenger

I colpi mandano in frantumi il parabrezza dello zero, distrutto per circa i due terzi della sua grandezza, Sakai viene ferito alla testa e perde conoscenza. Per un miracolo, ma forse per l'aria fredda che entrava dal parabrezza distrutto, il pilota si riprende dopo che lo Zero aveva perso, precipitando, 3500 metri di quota ritrovandosi a 2mila metri di altitudine ancora col velivolo fuori controllo. Lasciamo ora che sia lo stesso Sakai a raccontare cosa successe in quei tragici momenti.

“L'aereo stava precipitando fuori controllo quando d'un tratto pensai a un bombardamento suicida. Pensai che se devo morire tanto vale che mi porti dietro una nave americana. Ma non riuscivo a vedere nessuna nave! Non riuscivo a vedere nulla! Soltanto a quel punto mi resi conto che ero rimasto ferito al volto da alcune schegge e che ero cieco, ma stranamente non provavo alcun dolore”. L'aereo di Sakai, per miracolo, è ancora governabile e il pilota, dopo essersi vigorosamente strofinato gli occhi, riesce a recuperare la vista all'occhio sinistro in modo parziale. “Mi sembrava di guardare attraverso una pellicola rosso brillante, quando all'improvviso avvertii in testa un dolore lancinante. Mi tastati il capo e sentii la mano appiccicosa del mio sangue”. Sakai aveva infatti una profonda ferita al capo, che però, lo aiutò a restare lucido durante il volo di rientro alla base. “Incredibilmente mi sentivo lucido e iniziai a vederci meglio di prima, poi però sopraggiunsero ondate di debolezza e mi parve di sprofondare nel sonno”, il pilota allora si colpisce con un pugno in testa affinché il dolore possa tenerlo sveglio, tecnica che funziona alla perfezione perché Sakai, dopo un lungo ed estenuante volo, riesce ad arrivare in vista del suo aeroporto. Altrettanto miracolosamente il carrello e i flap dello Zero si estendono il pilota riesce ad atterrare. “Pilotai l'aereo come in trance, calcolando la quota e il rateo di discesa in base alla cime di un macchione di palme da cocco che riuscivo appena a distinguere, finché i parve di sentire le ruote toccare la pista e pensai 'sono tornato a casa!'”.

Sakai viene estratto di peso dall'abitacolo del suo Zero, coi compagni che, battendogli sulle spalle, gli urlavano “Sakai! Sakai! Non dire mai muoio!”. Rimane in ospedale quasi un anno, ma alla fine di gennaio del 1943, è di nuovo in volo, ma per addestrare i giovani piloti. Il 20 giugno del 1944 viene spostato a Iwo Jima, per affrontare l'offensiva statunitense che con la tattica del “salto della rana” si sta avvicinando al territorio metropolitano giapponese conquistando isole su isole nel Pacifico Occidentale. Il 24 giugno Sakai si scontra per la prima volta col nuovo caccia dell'U.S. Navy, messo a punto proprio grazie alle esperienze fatte su uno Zero catturato: è F6F Hellcat, un caccia con un motore da 2000 Cv, più veloce in arrampicata rispetto all'A6M, corazzato (lo Zero non aveva corazzatura per risparmiare peso ma anche per la filosofia nipponica), più robusto strutturalmente e con serbatoi autosigillanti. Sostanzialmente un caccia superiore sotto ogni aspetto allo Zero eccetto per il raggio di virata.

Sakai però, in quella occasione, grazie alle sue eccezionali doti di pilota riesce ad abbatterne due, giostrando disperatamente da solo contro 15 caccia americani che lo attaccano senza che un solo proiettile colpisca il suo Zero. I tempi del dominio del caccia che più di ogni altro è entrato nell'immaginario collettivo di quella guerra sono però finiti. Dopo l'Hellcat arriva l'F4U Corsair, un vero gioiello, che nelle mani dei piloti americani, diventati ormai veterani, spazza letteralmente via dal cielo i velivoli nipponici. L'avanzata degli alleati nel Pacifico spinge il Giappone sulla difensiva e lo stormo di Sakai torna in Patria: le missioni di scorta si fanno più rare e disperate, ma Sakai non molla, così come tanti altri suoi commilitoni che volano: il giorno stesso della resa abbatte, sempre ai comandi del suo vecchio Zero, un bombardiere B-29. La sua sessantaquattresima e ultima vittoria.

Dopo la guerra, tra le mille difficoltà che ancora la vita gli riservò, in merito ai bombardamenti nucleari sul Giappone ebbe a dire: “se mi fosse stato ordinato di bombardare Seattle o Los Angeles per porre fine alla guerra, non avrei esitato. Quindi capisco perfettamente perché gli americani hanno bombardato Nagasaki e Hiroshima”.

L'ultimo Samurai del cielo muore di infarto il 22 settembre del 2000, a 84 anni, dopo una cena ufficiale della Marina degli Stati Uniti in suo onore tenuta presso la Naval Air Station di Atsugi.

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