La tv intelligente che faceva ridere

L'anniversario: 1983-2013. Il programma di Antonio Ricci satireggiò gli Anni Ottanta con battute profetiche sulla politica

La tv intelligente che faceva ridere

In fondo erano tutti uomini di cultura, tutti figli di Lacan.

Figli della categoria del simbolico, e padri del Dottor Vermilione «psicanalista santone», Antonio Ricci e la sua ciurma di corsari conoscevano benissimo le teorie situazioniste di Guy Debord e le regole bon ton dei mass media. Per questo le infransero così bene. E così nacque, dentro la società dello spettacolo, lo spettacolo più bello del weekend, tutti le domeniche sere, su Italia 1, dal 1983 al 1988, per sei stagioni e un'intera epoca: Drive In, trasmissione che Ricci battè i piedi per fare come voleva lui, tutta diversa da quella che pensava Berlusconi, nata con le seconde scelte della tv di allora diventate star di quella di oggi, un varietà costruito come specchio iper-realista degli anni Ottanta, diventato di culto già nei Novanta, e trasformata strumentalmente nel Duemila nell'origine di tutti i mali della televisione, la brutta faccia catodica del berlusconismo e la cattiva maestra dell'Italia ignorante e volgare di oggi. Cronaca stop, novella express... più che notizie, spetteguless.
«Io e gli altri che scrivevamo la trasmissione avevamo studiato il situazionismo e i filosofi di sinistra, eravamo antiamericani, filopalestinesi, pacifisti ed ecologisti ante litteram... E ora dobbiamo difenderci dall'accusa di aver aperto la strada al berlusconismo e aver rovinato l'Italia... Negli ultimi anni in molti hanno attaccato la trasmissione. Chi in buonafede, confondendola con Colpo grosso e senza averla mai vista, chi in malafede, i massmediologi del “copia-incolla” come Massimiliano Panarari, che hanno manipolato i fatti in chiave politica», ha detto Antonio Ricci, presentando ieri mattina, dalla cattedra dello studio di Striscia, le celebrazioni dei trent'anni di Drive In. «Contro di noi c'è stato un tentativo di usare il metodo Boffo, che in realtà è diventato un metodo buffo al limite del ridicolo». Il buffo destino di un varietà comico-satirico trasformato, molti anni dopo - per strani scherzi della memoria o volute distorsioni ideologiche - nella sentina di tutti i vizi di (Forza) Italia e nella culla del Bunga Bunga. Per colpa di due tette maggiorate in prima serata...

Che poi, le tette e i culi e i nudi, come racconta il documentario di Luca Martera che affianca il «best of» della trasmissione, ben prima del 1983 strabordavano dai nostri schermi (senza vergogna e senza scandali) soprattutto sulla socialista Rai2 e sulla mondadoriana, e pre-berlusconiana, Retequattro. Al confronto del voyeurismo peloso di Cipria e de Il cappello sulle ventitré, il culo fast-food di Tinì Cansino aveva la leggerezza delle battute di Gianfranco D'Angelo. E oggi tutti ad abbaiare contro la madre di tutte le olgettine. Has Fidanken.

E sì che Gianfranco D'Angelo era un gigante della commedia dell'arte, il Tenerone era una bomba della satira politica, Ezio Greggio un maestro della parodia, Faletti un genio della satira sociale e Enzo Braschi un fenomenologo del costume. Wild boys. Senza contare che non ci fu, e forse non c'è mai stato dopo Drive In, uno show che abbia dato così tanto spazio e «diritto» di parola alle co-protagoniste femminili. Alla faccia del machismo berlusconiano e della sottomissione del «corpo delle donne», è impressionante rivedere, nell'antologia in sei video curata da Fabio Freddi, quante comiche siano passate da lì. E persino le ragazze Fast food e le Bomber avevano i loro tormentoni. È oggi, semmai, che le veline sono mute. Senza contare, come scrisse Norma Rangeri sul manifesto, che non c'era nulla di più dirompente che affidare battute a ragazze seminude, «per ridicolizzare le consolidate abitudini di una politica in giacca e cravatta, qui spogliata di ogni sacralità e affidata ai profani corpi delle maggiorate».

E così, in reggiseno, giacche di scena e paillettes, puntata dopo puntata, di stagione in stagione, Ricci e i suoi intellos hanno costruito una trasmissione che fu l'essenza degli anni Ottanta, e di cui si sentì l'assenza in quelli successivi. E tutto questo con toni leggeri e tratti profetici.
Trent'anni fa, 1983-1988: in un unico irripetibile format l'allegra brigata di Drive In previde tutte le disgrazie dell'Italia di oggi. O forse è l'Italia di oggi che non è così diversa da quella di allora. C'è lo sketch sulle tessere di partito, la battuta premonitrice sui leader politici in cerca di carisma, quella sui sindacati «che sono come il violino: li tiene la sinistra, ma li suona la destra», c'è il monologo «qualunquista» sul finanziamento ai partiti (1983!), la gag Greggio-D'Angelo sulle tangenti e il ponte di Messina che ancora non parte (febbraio 1986!!), la scenetta con Beruschi che per lanciare il concorso Miss Italia (Uno) chiede a Greggio di trovargli «una copertura intellettuale», per «elevare il livello culturale della trasmissione» (!!!) - e Ghini era ancora sconosciuto -, c'è l'imitazione di Ciriaco De Mita ambientato nella antica Grecia che è tutto un Magna Magna...

C'è Mario Zucca, «il Bastardo di Quarto Oggiaro», che denuncia la violenza della periferia milanese, ci sono i lazzi di Sergio Vastano sui «bocconiani» che parlano e non combinano niente, e c'è persino la moglie di Gianfranco Fini, che si lamenta che lui le ruba sempre il mattarello... Forse hanno ragione i critici in malafede. Drive In era davvero pieno di brutta gente.

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