Un classico come quello di Petronio

Lo scrittore accolse i suggerimenti dell'editor Max Perkins

Due capolavori con una sola storia. Il misterioso Jay Gatsby doveva affascinare molto il suo inventore, Francis Scott Fitzgerald. Arricchito, volgare come il Trimalcione di Petronio eppure nato per inseguire un sogno, e dunque a suo modo puro, Gatsby era il simbolo degli anni Ruggenti. Splendidi ma non privi di aspetti inquietanti.
Il grande Gatsby è solo il punto di arrivo di un lungo lavoro che aveva dato già un frutto eccezionale. Infatti la prima stesura, il perfettamente compiuto Trimalchio, nelle librerie italiane grazie all'editore Mattioli 1885, non è da meno di quella definitiva. Il 27 ottobre 1924, Fitzgerald invia Trimalchio al suo editor Max Perkins presso l'editore Scribner. Riceve in cambio un generale apprezzamento per il romanzo e alcuni consigli. Perkins chiede di dare maggiore sostanza a Gatsby al fine di evitare che i suoi segreti distraessero troppo il lettore da una vicenda comunque magnifica. Lo scrittore si mette al lavoro: anticipa le rivelazioni sul passato di Gatsby, lo dota di un sorriso magnetico, lo rende meno triviale. Come? A esempio, tagliando gran parte della festa in maschera che potete leggere in queste pagine, oppure eliminando alcuni dettagli del «castello» in riva al mare in cui vive il magnate. Nella prima versione, dunque, è molto evidente quanto Gatsby sia un pesce fuor d'acqua nella cinica alta società newyorchese. Il Fitzgerald di Trimalchio è più diretto, e parla attraverso la voce di Nick Carraway, il vicino di Gatsby. Sarà Nick a tirare le somme: Gatsby è disprezzabile sotto molti punti di vista. Eppure è migliore di chi lo circonda: morti viventi, gente marcia dentro, incapace di provare sentimenti o credere in qualcosa. Mentre l'ambiguo Gatsby, forse addirittura un criminale, è spinto da una forza totalizzante, l'amore per Daisy, sposa dell'irascibile riccone Tom Buchanan. Gatsby dunque crede nel «futuro orgasmico che anno dopo anno si allontana da noi. Ci è sfuggito allora, ma non importa... Domani correremo più veloci, allungheremo di più le braccia...». Il finale è senza speranza, Daisy non rinuncia alla tranquillità, reinventarsi è impossibile, i sogni si rivelano incubi: «Così continuiamo a remare, barche contro la corrente, risospinti senza posa nel passato».
Il legame di Fitzgerald con Trimalchio sarà sempre piuttosto stretto. Come racconta la postfazione di Nicola Manuppelli, ottimo curatore e traduttore, allo scrittore resterà il rammarico di aver cambiato titolo all'opera: «Trimalchio - dirà - era migliore».
Soppesare quanta autobiografia ci sia nel romanzo è esercizio inutile. Senz'altro in Trimalchio c'è qualcosa in più del suo autore rispetto alla stesura definitiva de Il grande Gatsby. Daisy è più volubile, e tradisce apertamente Tom, prima di tornare fra le sue braccia. In lei c'è qualcosa di Zelda Fitzgerald.

La sorte drammatica di Gatsby, mentre tutt'attorno scoppiano ancora i fuochi d'artificio, riflette con maggiore forza i timore personali di Fitzgerald, destinati tra l'altro a realizzarsi dopo pochi anni.
Conclude Manuppelli: «Con Il grande Gatsby muore un certo Fitzgerald, è il suo testamento e il Nick di fine libro è il Fitzgerald che viaggia verso il decennio perduto».

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