Marco Buticchi con La stella di pietra (Longanesi) conferma la sua passione per avventura e mistero in una storia che mescola abilmente fatti storici e inventati spaziando dalla produzione artistica di Michelangelo Buonarroti al brigatismo rosso. L'autore spiega che il libro è nato da due folgorazioni: «La prima è stata una telefonata da parte del mio editore quando morì Silvano Girotto, al secolo Frate Mitra e primo infiltrato dal generale Dalla Chiesa nell'ermetica organizzazione brigatista. Potrebbe essere un personaggio dei tuoi romanzi, mi disse Stefano Mauri. Da allora incominciai a rimuginare e a documentarmi sugli anni di piombo. Quando poi, per caso, mi ritrovai in un sito che parlava della paternità del Laocoonte, mi resi conto che l'impianto storico di un nuovo romanzo era davanti ai miei occhi. Dovevo soltanto costruire una trama...».
Ma è possibile ipotizzare che sia stato davvero Michelangelo a realizzare il gruppo marmoreo del Laocoonte? Buticchi ne è convinto: «Un fatto singolare - dice - è che, quando in una fredda giornata romana del gennaio 1506, il Laocoonte riemerse dal luogo dove era sotterrato in una vigna sul colle Oppio, a effettuare il riconoscimento furono Giuliano da Sangallo e Michelangelo Buonarroti. E lo fecero su due piedi e senza tema di smentita, avendo davanti dei frammenti solo in parte assemblati. Fu una coincidenza? Il mio protagonista ricorrente Oswald Breil ripete spesso che, nel suo lavoro di agente segreto, le coincidenze non esistono...».
E se esistessero davvero i bozzetti di quell'opera? Avrebbero un valore incommensurabile. D'altronde Michelangelo iniziò la sua carriera facendosi conoscere dal potente cardinale Riario in qualità di falsario... Tuttavia Buticchi compie un passo in avanti: ipotizza che manufatti del genere siano serviti a finanziare il terrorismo. «In Italia - dice - il terrorismo è stato un evento assai costoso. Ben più costoso di quanto ci abbiano fatto credere in questi anni. E i mezzi per finanziare il progetto destabilizzante erano i più svariati. Alcuni logicamente individuabili (rapine, sequestri di persona, furti). Altri meno logici che si muovevano lungo canali segreti e, spesso, insospettabili».
Il romanzo è ambientato nel 1985, pochi anni dopo l'escalation del terrorismo e secoli dopo Michelangelo. Ma in un thriller è facile mescolare realtà e fantasia? Buticchi risponde prendendo in prestito le parole di due suoi maestri. «Il mio editore Mario Spagnol, di fronte a quelle che lui chiamava non verosimiglianze nei miei lavori, mi ammoniva dicendomi che nello scrivere di storia l'autore deve usare un estremo rigore. Quanto ad Alessandro Manzoni, sosteneva che nel romanzo storico l'autore deve essere così abile da non far capire al lettore dove si trovi l'esatto confine tra finzione e realtà. Alla fine di ogni mio romanzo, però, in appendice raccolgo alcune verità incontrovertibili, quello che penso sia il vero momento thriller del mio lavoro».
Un autore, Buticchi, in controtendenza rispetto all'esterofilia che è di molti suoi «colleghi».
Se gli si chiede quale sia il maestro della narrativa nei confronti del quale si sente maggiormente in debito, non ha dubbi nell'indicare Emilio Salgari: «Ha plasmato generazioni di lettori e in genere gli viene riconosciuta soltanto una piccola parte del suo enorme valore».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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