Ognuno ha una musica dentro: da dove venga, all'improvviso, e perché in certi attimi risuoni nella mente, non è dato sapere. Non è così per W.G. Sebald (1944-2001), che in Moments musicaux (Adelphi, pagg. 64, euro 7) va sulle tracce autobiografiche dei propri momenti musicali, restituendo le motivazioni delle sue scelte, laddove suoni e vagabondaggi si fondono in una raccolta di prose e versi davvero curiosa.
Così apprendiamo che a Wertach, suo villaggio natìo ai margini settentrionali delle Alpi, nell'immediato dopoguerra la musica non esisteva, «se si escludono le occasionali esibizioni degli Jodler e i solenni accordi della banda musicale». La famiglia Sebald non possedeva un grammofono e non restava che mettersi in ascolto accanto a una radio Grundig anni Cinquanta, dono della newyorchese zia Therés, però alla domenica soltanto: «nei giorni feriali non si andava mai in salotto». Ma la domenica, i valligiani di Rottach irrompono dall'apparecchio radiofonico, con le loro cetre e chitarre, diffondendo nell'aria la vecchia musica popolare bavarese, prediletta da papà Sebald, che non ne nota, come il figlio, «i tratti raccapriccianti». Anni dopo quegli ascolti forzati, quando ormai lo scrittore è di casa a Londra, il raccapriccio si ripresenta veicolato da una radiosveglia: ancora i valligiani di Rottach, con una delle loro «divertenti filastrocche fatte di martore, volpi e d'ogni genere di animali». E di nuovo l'elemento folcloristico s'affaccia all'orizzonte musicale sebaldiano da un rigattiere londinese, per il tramite d'una cartolina dell'Unione Postale Universale, dove gli Schuhplattler di Obertsdorf, con i loro costumi regionali, le stelle alpine e i denti di cervo a mo' di bottoni, rievocano antiche idiosincrasie. Nel 1952, però, finiscono gli incubi bavaresi e iniziano le gite scolastiche del giovane Sebald con il fondamentale maestro Bereyter, che «si portava appresso il clarinetto dentro un vecchio calzettone, alla stregua del filosofo Wittgenstein». E furono melodie di Mozart, Brahms, Vincenzo Bellini: tutta un'altra musica.
Permane, tuttavia, il ricordo d'un supplizio, legato a tre anni di lezioni di cetra, «una specie di cavalletto di tortura». Il tormentoso strumento, tuttavia, servirà allo scrittore dodicenne per accompagnare le ultime ore dell'amatissimo nonno. Perché «noi facciamo musica per costruire un argine».
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