Cultura e Spettacoli

Il simbolo della Roma migliore: ecco chi è (stato) Gigi Proietti

Con Proietti non se ne va solo un grande attore, ma un rappresentante di una città sempre meno legata alla sua identità. E che lui ha saputo amare e immortalare in eterno

Il simbolo della Roma migliore: ecco chi è (stato) Gigi Proietti

"A Pomà io nun so che ditte.. e anche se te lo dicessi, che te lo dico a fà?". Si congedava così Gigi Proietti, alias Mandrake, mentre salutava uno sconsolato Pomata, interpretato da Enrico Montesano, che fingeva la morte della nonna per mandare via gli strozzini con cui si era indebitato.

Oggi probabilmente ci sentiamo un po' tutti Mandrake. Perché la notizia della morte di Gigi Proietti ci ha lasciato davvero senza parole: così repentina, così silenziosa, così sorprendente. Riservata e in punta di piedi. Come del resto tutta la sua vita, passata lontana dai rotocalchi e dalle disfide tra colleghi, sempre in grado di dare lezioni ma mai per arroganza: ma solo perché veramente capace di essere maestro. Il teatro, il cinema, la televisione, sketch, doppiaggi. Tutto condensato in una personalità amata più dal pubblico che dalla critica di alto livello, spesso incapace di cogliere l'animo di un artista veramente valido, come successo ad altri giganti del mondo dello spettacolo.

Roma (ma con Roma tutta l'Italia) piange non solo un grande artista, ma anche un suo vero cantore. Un uomo nato a via Giulia e cresciuto al Tufello, che ha saputo rappresentare la capitale a cavallo della Dolce Vita e trascinarla con le sue interpretazioni dagli anni Settanta fino ai Duemila. Difficilmente, tranne rari eccezioni, è stato possibile conoscere un romano così estasiato della sua città. Un rapporto viscerale, profondo, a metà tra quello di un figlio, di un amante e di un marito fedele, che sente fino al midollo l'essenza ironica, spassionata e scettica che inonda questa città e che può capire e vivere solo chi questa città la conosce davvero. Una città che sa esaltarti con la stessa capacità con cui sa umiliarti, mutevole e allo stesso tempo eterna, il cui marchio di fabbrica è quello di non apprezzare troppo chi di passaggio, perché abituata fin da troppi secoli a sopravvivere a chi promette e chi pensa di renderla grande. Solo chi è umile (ma davvero grande) può essere apprezzato da una città come Roma, che è talmente consapevole di se stessa da non volere qualcuno che le dica cosa deve fare: basta amarla.

Gigi Proietti era tutto questo. Era la Roma migliore, aggraziata, scomparsa purtroppo sotto un fiume di volgarità che molto spesso è stata confusa con la sua essenza e con il suo popolo. E lui lo sapeva perfettamente. Colto, raffinato, tagliente, bonario e disincantato, Proietti per chiunque ama Roma è stato quasi un simbolo: un monumento nostalgico a qualcosa che si è perso e che lui per certi versi ha tentato di mantenere in vita. Tanto che chiunque vedeva in lui più l'essenza del Belli o di Petrolini che quella del mondo di oggi. Un uomo radicato nella sua città e che forse anche per questo suo essere autentico ha saputo essere apprezzato e amato nel resto d'Italia. Capacità che è propria solo dei grandi: grandi come lui.

Mario Ajello, ricordando il grande attore sul Messaggero, ha scritto che la morte di Proietti arriva "proprio mentre la sua città, in un momento difficile causa virus, ha particolarmente bisogno di figure come lui, presenti e rassicuranti, punti di riferimento veri per una comunità a cui stanno venendo meno - si pensi anche alla morte di Ennio Morricone - i grandi maestri".

Impossibile dargli torto.

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