È la solitudine il personaggio del momento

La solitudine fa gruppo. E, di conseguenza, fa moda. «Solitudine» è una parola molto letteraria. In fondo, quando si scrive, si scrive da soli, e quando si legge, pure. È comprensibile, quindi, che scorrendo i titoli dei libri usciti negli ultimi anni, faccia capolino, più o meno discretamente, come le conviene. Eclatante, a causa del fiume di copie vendute, il caso de La solitudine dei numeri primi, di Paolo Giordano (Mondadori). Accostare quel termine così poetico ed evocativo alla (apparente) freddezza dell’aritmetica è stata una mossa che ha dato buoni frutti.
C’è poi La solitudine del maratoneta (Minimum fax), il racconto di Allan Sillitoe ripubblicato a 50 anni dalla prima uscita: è la storia di un giovane carcerato il quale evita la vittoria in una gara di corsa che gli darebbe la libertà perché, ormai, della libertà ha perso il gusto. Gli ci vorrebbe, per ritrovarlo, un amore. Come accade a Yuki, protagonista di La solitudine dell’amore, di Raffaella Bedini (Newton Compton). Al contrario, La fortezza della solitudine (Net) nella quale lo ha messo Jonathan Lethem sta molto stretta al giovane Dylan Edbus, visto che per lui, bianco, la Brooklyn degli anni ’70, abitata quasi esclusivamente da neri, più che una fortezza è una galera. Peggio ancora se la passa la Stephen di Radclyffe Hall in Il pozzo della solitudine (Corbaccio). Sì, la Stephen, perché i suoi genitori avevano scelto quel nome per il maschietto che tanto desideravano e, ottusamente, lo affibbiano alla malcapitata, dando il via a un corollario di turbe sessuali e disagi.
Altri disagi e, forse, il male di vivere da essi derivato sono quelli che portarono alla sparizione del professor Federico Caffè, il 15 aprile del 1987. In L’ultima lezione.

La solitudine di Federico Caffè scomparso e mai più ritrovato (Einaudi), Ermanno Rea ci offre un ritratto in forma di romanzo dell’uomo che sognava un’economia diversa: lo studio non del modo più redditizio per aggredire il mercato, ma del modo più giusto per distribuire la ricchezza. Augurargli oggi, con Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine è troppo ottimistico.

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