Sul fondo del lago Stolp, nel Brandeburgo, o, molto più semplicemente esposto in pinacoteche e uffici tedeschi. Il famigerato «tesoro nazista» continua a far discutere e a stuzzicare l'appetito degli storici. Nell'agosto del 2011 il settimanale Bild scriveva che un gruppo di imprenditori britannici stava preparando una missione per mettere finalmente le mani sulle casse piene d'oro e di platino e di chissà che altro ancora occultate per volontà di Hermann Goering nel nascondiglio subacqueo. Siamo ancora qui ad attendere di sapere com'è andata a finire la questione, se mai è incominciata...
E pochi giorni fa, a 80 anni dall'avvento al potere di Hitler, Der Spiegel spiegava che buona parte dei beni artistici e dei gioielli trafugati come bottino di guerra dalle orde naziste in tutta Europa si trova in bella mostra nelle sedi delle più importanti istituzioni germaniche, poiché, parole di circostanza a parte, nessun Cancelliere si è mai dato veramente da fare per restituire ai legittimi proprietari quel ben di Dio. Anzi, molti pezzi pregiati, sottolineava il periodico, «si trovano in musei statali, in collezioni private, nell'ufficio della presidenza della Repubblica, alla Cancelleria, nelle foresterie del governo o nelle ambasciate tedesche dell'intero pianeta». Siamo ancora qui ad attendere che Frau Merkel tiri fuori dal capace borsellino qualcuno dei suoi amatissimi oiro, come li chiama lei, per far chiarezza...
Insomma, a Berlino e dintorni gli scheletri non si tengono più negli armadi, bensì nelle teche. E la Germania locomotiva d'Europa, se si guarda allo specchio arranca come un carretto in salita. Meglio, s'arrampica sugli specchi, avendo scoperto di non essere ancora, a 2013 inoltrato, completamente denazificata.
Ma, acque buie o vetrine scintillanti a parte, esiste anche un altro «tesoro» che si fregia idealmente della croce uncinata: quello personale di Hitler. Un bel gruzzoletto di circa 700 milioni di Reichsmark, i marchi di allora (che furono la moneta germanica dal 1924 al giugno 1948), vale a dire, guerra più, guerra meno, svalutazione più, svalutazione meno, 3,2 milioni di euro attuali.
secondo un esperto del ramo, il giornalista e storico Guido Knopp. Autore di Figli di Hitler, Olocausto, Complici ed esecutori di Hitler, Hitler, un bilancio, Wehrmacht. La macchina da guerra del Terzo Reich, Tutti gli uomini di Hitler nonché direttore della sezione di Storia Contemporanea di ZDF, rete di Stato della tv tedesca, Knopp è un punto di riferimento preciso e puntuale, per chi voglia addentrarsi nelle vicende del regime hitleriano, senza bastone né carota ma con tanti documenti e testimonianze da far parlare.
Lo ha fatto anche in un libro, «figlio» di una trasmissione televisiva, in cui si fanno i conti in tasca a Hitler: Geheimnisse des Dritten Reichs, «I segreti del Terzo Reich». È noto, a esempio, che Hitler, divenuto Cancelliere il 30 gennaio del 1933, con abile mossa populista urlò ai quattro venti il proprio rifiuto del relativo compenso. Parola mantenuta, infatti. Ma soltanto per un anno. Poi, dal '34, cominciò a intascare con marziale freddezza e senza batter ciglio 47mila e 200 marchi a ogni cambio di calendario. Non solo, dopo la morte del presidente Hindenburg, avvenuta il 2 agosto del '34, il dittatore mise in saccoccia anche il pesantissimo salario di capo di Stato: 157mila e 800 marchi, già abbondantemente sporchi di sangue. Ora, stante che le entrate medie dei suoi connazionali ammontavano in quel periodo a circa 1500 marchi annui, ci rendiamo conto di quanto fosse economicamente redditizia la professione di boia...
Non è finita. Ci sono da mettere sul piatto della bilancia i diritti del suo fortunatissimo bestseller, cioè Mein Kampf.
Uscito nel '25, l'aureo libretto in otto anni vendette 287mila copie, meno di 36mila l'anno, roba da quinto classificato alla finale del Premio Strega... Ma nel solo '33, con tutta quella campagna promozionale che sappiamo, l'operina andò via come il pane: un milione e mezzo di esemplari. E in totale, in dodici anni di regime, le copie piazzate furono una decina di milioni. Considerando che l'autore si portava a casa il 10 per cento sul prezzo di copertina che era di 12 marchi, fanno 12 milioncini.
Infine, ma soprattutto, il «carico da undici», il colossale capitolo delle donazioni. Dal giugno del '33 i maggiori industriali tedeschi, da Krupp a Thyssen in giù, destinarono trimestralmente a un fondo privato di cui Hitler deteneva l'assoluto controllo lo 0,5 per cento dei costi salariali: insomma, gli operai devolvevano un obolo al Führer. E anche i finanziatori stranieri si mettevano disciplinatamente in fila, con Henry Ford in testa, per farsi belli agli occhi dell'uomo forte che si apprestava a massacrare un continente. E se la politica ha i suoi costi, come ci ricordano un giorno sì e l'altro pure, a parole e con i fatti, i nostri fantaccini che ci chiamano in queste ore al voto, figuratevi quanto costava tenere letteralmente in pugno una nazione come la Germania...
Ma, insomma, c'era una guerra da vincere a tutti i costi, occorreva stringere la cinghia.
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