Storia ed esoterismo si tingono di «giallo»

Alla quarta edizione di «Giallolatino», organizzato a Latina da Gian Luca Campagna, si è dibattuto sulla sorte del poliziesco italiano, che ormai inflaziona l'editoria e sta dando dei punti all'altra letteratura «di genere», come la fantascienza. Il sottoscritto sostiene da tempo questa tesi: c'è il pericolo concreto che si calchino sempre le stesse orme e si dia vita a ciò che un esperto del ramo, Andrea Carlo Cappi, ha ben definito «il Commissario Cliché», vale a dire sempre lo stesso personaggio ambientato in contesti locali e provinciali diversi. Si dovrebbero variare i tempi andando a costruire una trama poliziesca e investigativa o nel passato vicino o in quello lontano e scrivere il giallo storico, oppure aggiungere a una classica trama poliziesca elementi fantastici, fantascientifici, orrorifici, esoterici e occulti, senza che però questi appaiano posticci.
Giulio Leoni, uno dei più prolifici e originali autori di questo settore, ha seguito questa seconda via dandoci opere intelligenti e originali ben congegnate e ben scritte, a cominciare dalla serie su Dante «investigatore» con cui ha esordito (I delitti della Medusa, 2000), pubblicando in dodici anni tredici romanzi più altri tre con pseudonimo, sino ai due in cui si mescolano avventura, fantastico e occulto o pseudo-occulto (La sequenza mirabile, 2010; La porta di Atlantide, 2011). Adesso ci dà la conferma della percorribilità di questa strada con Il cabaret del diavolo (Hobby & Work, pagg. 266, euro 15), dove ha ripreso in una serie di storie un personaggio che aveva giù utilizzato per il romanzo E trentuno con la morte (2003): Cesare Marni, combattente della Grande Guerra, legionario a Fiume con d'Annunzio, architetto, acuto osservatore di fatti e persone, la cui perspicacia e intuizione a spiegare episodi strani, fatti singolari, omicidi e altri crimini. Attenzione: a spiegare, non sempre a risolvere secondo i canoni del giallo classico. Qui in genere il colpevole si scova ma non riceve la sua punizione, quale essa sia. L'affascinante autrice dell'attentato al treno dei fascisti che nel 1922 vanno a Roma e che Marni sventa la fa franca (Fascismo=Velocità+Ardore); l'assassino dell'esule russo in nome della Realpolitik riesce a fuggire (Il cabaret del diavolo); la bella falsificatrice di reperti etruschi non andrà in galera anche se il suo complice morirà per un gesto fatale (Suggerimento degli spiriti); gli omicidi di un altro russo che volevano coinvolgere d'Annuncio in un intrigo internazionale restano impuniti (Questo dicono i morti); il regista tedesco che congela la sua amante in fin di vita non subirà alcun processo (Niente è quello che sembra).
La qualità delle storie sta anche nella ricostruzione degli ambienti culturali degli anni '20 e '30: abbigliamenti, architetture, modo di parlare e atteggiarsi, addirittura i vezzi esistenziali. Le mentalità futurista e dannunziana è ritratta a tutto tondo, sovente con amabile ironia e non con il disprezzo o la supponenza di altri giallisti italiani che ambientano le loro storie nel Ventennio.

Peraltro, resta ambigua la funzione dell'aspetto occultistico-esoterico: la lettera dall'Aldilà di Rasputin a Marinetti è una farsa o è vera? La veggente convocata al Vittoriale è una truffatrice o no? Il Vertex, la radio che comunica con i morti e che suggestiona il regista e l'attrice, è una bufala o funziona? In questa suggestiva atmosfera si muove Cesare Marni, affascinato dalle belle donne (con le quali non conclude nulla), un po' scettico, un po' smagato, un po' ironico, ma sempre capace di spiegare i casi più singolari e in apparenza irrisolvibili.

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