Striscia la letteratura in televisioneil commento 2

di Massimiliano Parente
V e lo siete mai chiesti? In quale trasmissione vedreste oggi Cervantes, Joyce, Musil, Balzac, Shakespeare se fossero vivi? Da nessuna parte, perché di romanzi in tv non si parla. Anzi forse solo a Striscia la notizia, per merito di Antonio Ricci, il quale l'altro giorno per esempio ha lanciato La fine dell'altro mondo di Filippo D'Angelo. Ma Ricci è Ricci e fa come gli pare, mentre di regola qualsiasi scrittore lo sa: in tv la cultura non va, se non confinata in riserve indiane. Quindi al limite si va da Augias, oppure da Gallucci, dopo il Tg5 della notte, perché chi legge sono gli insonni. È il motivo fra l'altro per cui io in televisione non vado mai, perché se proprio vuoi il do ut des è andare a parlare di cronaca da Barbara D'Urso o di politica da Lilli Gruber o di cronaca e politica da Giletti, e in cambio ti fanno vedere per un secondo la copertina. Oppure, se va bene, ti piazzano vicino a Fabri Fibra, come è successo a Antonio Moresco per parlare dei suoi Canti del caos alle Invasioni barbariche, e al suo posto, lì con Fabri Fibra, avrebbero potuto esserci Kafka o Giacomo Leopardi, il senso era quello. Vale perfino per uno scrittore showman come Aldo Busi, orfano del Maurizio Costanzo Show (dove di libri se non altro ancora si parlava, ere mediatico-geologiche fa), che si è dovuto girare tutte le trasmissioni politiche, Servizio Pubblico incluso, pur di far pronunciare appena il titolo del suo ultimo romanzo, e dopo un'assenza decennale. E lo ha fatto anche con molta umiltà, seduto e buono come un agnellino, e una volta anche insieme all'altro «grande scrittore» Aldo Cazzullo, era meglio Fabri Fibra. Ma ci sono delle eccezioni: non è vero che non si parla di cultura in tv, non è vero che non ci sono spazi. Se Lilli Gruber scrive un libro va a presentarlo da Fabio Fazio, se lo scrive la D'Urso lo presenta dalla Toffanin, se lo scrive la Bignardi lo presenta dalla Gruber, e se la Gruber è in ferie sempre da Fazio; fanno il tutto trattandosi gli uni con gli altri con reverenza e come se avessero scritti fondamentali, importantissimi, da sviscerare.

Lì non ci sono limiti di contenuto, né tempi televisivi: mezz'ora a testa, non c'è fretta. E nessuna domanda raffazzonata, sbrigativa: se li sono letti bene, scherziamo. Ovvio che poi quando arrivano Severgnini e Cazzullo a Otto e Mezzo li presentano come se fossero Joyce e Proust.

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