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Tactical Surveillance: un'arte della difesa per la "nostra" sicurezza

L'ex incursore che ha collaborato con i maggiori servizi d'Intelligence in tutti i teatri che hanno coinvolto le forze armate italiane, spiega in un manuale sulla "sorveglianza fisica" come spiare sia un'arte, e come la presenza sul campo resti una risorsa imprescindibile.

Tactical Surveillance: un'arte della difesa per la "nostra" sicurezza

All’attenzione di una sala del Senato della Repubblica gremita di quelli che hanno tutto l’aspetto d’essere oltre che amici, dei vecchi compagni d’armi, l’ex incursore del 9° Reggimento “Col Moschin” e specialista d’Intelligence veterano di Iraq, Somalia, Ex-Jugoslavia, Afghanistan e Sudan, Valter Virdichizzi, ha presentato il libro Tactical Surveillance, il mestiere della Sorveglianza Fisica (Rubettino). Un manuale interessante che affronta e spiega, in maniera tematica e schematica, ma non per questo tediosa, l’importanza fondamentale della sorveglianza tattica e di quello che in gergo viene acronimato in Humint, l’attività di intelligence consistente nella raccolta di informazioni per mezzo di contatti interpersonali. Sottolineando l’importanza basilare delle più antiche, se si vuole, ma sempre valide se non essenziali, tattiche da impiegare sul campo.

“La tecnologia non può prescindere dalla presenza di operatori sul campo”, afferma laconico l’autore che, ricordando l’ultima campagna dell’Afganistan, dove svolgeva il delicato ruolo di target analist, spiegando come la sorveglianza fisica e i suoi “trucchi” siano tassello essenziale nell’ambito dello spionaggio e del controspionaggio. E di come anche degli uomini comuni, come i protagonisti dei romanzi spionistici di Ambler, o come il giovane impiegato protagonista del best seller I sei giorni del Condor, potrebbero finire a doversene “preoccupare”, e allo stesso tempo avvalere. Non è un segreto, avverte l’ex operatore d’intelligence che ha lavorato per anni gomito a gomito con i nostri “agenti segreti”, che tutti noi, viaggiatori all’estero anche solo in veste di turisti, finiamo spesso nel “mirino” dei servizi di sorveglianza; che attraverso l’acquisizione di informazioni sul nostro – nell’ampio e sistematico – conto possono ricostruire quadri incompleti per ragioni a noi oscure, e che forse ignoreremo per il resto nella nostra vita. Io che ho visitato la capitale della Corea del Nord, come altri posti egualmente curiosi, posso testimoniarvi che l’autore non si sbaglia. Il manuale diventa così risorsa importante per raggiungere la giusta consapevolezza di un’attività che può riguardarci da vicino e a nostra completa insaputa.

La sorveglianza tattica, che viene inquadrata nel “mestiere delle armi”, non è affatto considerabile come una tecnica “anacronistica”, anzi, resta nell’epoca dei conflitti asimmetrici ed ibridi, come all’epoca delle guerre convenzionali e del “gioco di spie” che ha scandito la Guerra fredda, e perché no disinnescato un conflitto nucleare, è e resta di centrale importanza.

Questo nonostante il progresso della moderna tecnologia che ha riguardato gli ultimi trenta, ma essenzialmente potremmo dire “ultimi dieci anni”; annota il professor Antonio Teti, che da esperto d’intelligence, ma anche un’autorità nel campo dei Sistemi Informatici e dell’Innovazione Tecnologica, ha scritto la prefazione, senza per questo dimenticare – anzi sottolineando -, come l’acquisizione d’informazioni attraverso la sorveglianza fisica, quale base di ogni attività di spionaggio, “è nel suo complesso un’arte”. E l’arte appartiene all’uomo, non alle macchine.

Secondo il professor Mario Caligiuri infatti, presidente della Società Italiani d’Intelligence intervenuto durante la conferenza, “L’uomo” come attore “fisico”, rappresenta ancora oggi “il soggetto fondamentale della raccolta delle informazioni”. L’ elemento umano infitti, come più volte rammentato nel corso dell’opera, è da considerarsi “nevralgico per la comprensione e analisi di uno scenario”. E sebbene la moderna tecnologia – da sempre testate e impiegate per prima nel servizio segreto da parte di agenti e incursori – ci fornisce metodi di acquisizione, apprendimento, e immagazzinamento d’informazioni sempre più veloci, potenti e totalizzanti: “Ogni informazione finale” deve essere necessariamente “elaborata e processata da quell’uomo“ che, in virtù del suo compito e delle sue incomparabili capacità, “manterrà sempre la piena cognizione e più utile comprensione di tale informazione”. Informazioni che erano già fondamentali agli occhi del più grande e riconosciuto maestro della strategia militare di tutti i tempi: il generale e filosofo cinese Sun Tzu, che ne tenga già conto nei suoi paradigmi fondamentali annotati tra il VI e V secolo avanti Cristo.

Mai sostituire l’elemento umano dunque. Poiché anche se il Pentagono e i servizi d’intelligence che gli fanno capo, possono avvalersi dei risultati straordinari di programmi di successo lanciati dalla Darpa (Defense Advanced Research Projects Agency) nell’era pre-digitale; e sono ora in grado di impiegare l’intelligenza artificiale oltre che per considerare l’affidabilità di un’informazione, la sua precisione, ed incrociarla con altre milioni di informazioni in una manciata di nano secondi, anche per analizzare fianco i comportamenti umani – solo l’uomo, attraverso i suoi affascinanti meccanismi naturali, può trarne il massimo dell’utile sul campo. “Non è un caso”, rammenta il professor Caligiuri, se i servizi segreti israeliani, noti per essere tra i più efficienti e temibili del mondo, arruolano da anni i migliori hacker che sono però anche laureati in filosofia. Il Mossad e Shin Bet , combattendo nel cyber-spazio come nei meandri dell’etica, della metafisica e della morale. Concentrando “L’autentica natura dell’intelligence”, che rimane una natura prettamente “culturale”. Lasciandoci immaginare gli operatori d’intelligence come dei moderni intellettuali armati di conoscenza sul campo.

Presente al convegno, il sottosegretario di Stato alla Presidenza dei Ministri Giuseppe Moles – che del manuale ha vergato la post fazione – non ha perso l’occasione di ricordare, ai presenti e ai futuri lettori, “l’altissimo senso del dovere e dell’onore”, “..oltre alla riconosciuta professionalità, invidiata all’estero”, di coloro che fanno parte e hanno fatto parte dei nostri servizi d’Intelligence. Uomini e donne, come ha ricordato l’autore, che non sempre possono essere citati, ma rimangono indelebili negli eventi che hanno accompagnato le grandi crisi del nostro Paese. Uomini e donne che, dio piacendo, ci hanno tenuti al sicuro nell’epoca più buia del terrorismo. E che attraverso la loro conoscenza delle tattiche e della padronanza della loro “arte”, nei teatri esteri come sul suolo nazionale, proseguiranno fedelmente nell’ottemperare il loro compito; come moderni Giovanni delle Bande Nere. Fedeli allo Stato nel motto dei rispettivi Corpi d’appartenenza, o nell’unico e solo motto dei nostri servizi segreti impegnati all’estero.

Che non a caso recita “Intellego ac tueor”; Comprendo e difendo.

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