Ci siamo conosciuti il 15 settembre del 2001. Non è che sono un amante tradito, sia chiaro, è che lo testimonia il Numero 24 della rivista Atelier (dicembre 2001). «Esigo una poesia che si renda conto di essere entrata nel ventunesimo secolo, nel terzo millennio», declamava allora, «esigo una piena presa di coscienza che i nostri amici più intimi si chiamano computer, televisione, cinema, internet», «esigo una poesia che parli dei rifiuti, che sono il più alto profilo architettonico di un centro urbano». Colto e viscerale, Flavio Santi. Romanziere, intellettuale, poeta sulla bocca dei big (quest'anno l'editore Scheiwiller ha pubblicato la raccolta Mappe del genere umano), lo ritrovo per caso nel sito di Adelphi, per cui ha tradotto Vivi e lascia morire (pagg.246, euro 18), l'ultimo Ian Fleming. Ricontatto Flavio: che significa tradurre 007? «Ho cercato una traduzione visiva e cinematografica, veloce, come veloce è l'inglese di Fleming. Un bel corpo a corpo, perché l'italiano è lungo e sbrodola un po', mentre l'inglese è rock, è fulmineo con i suoi monosillabi e bisillabi percussivi: bisognava trovare una via di mezzo». Cosa significa essere lo 007 della poesia italiana? «Fleming ti insegna a essere rapido e spiazzante, ad aprirti ad altri mondi, a sporcarti, a essere anche un po' cialtrone (come insegnava Auden), mentre molta poesia italiana mi sembra lenta e ripetitiva, che noia».
Ma è poi davvero bravo lui? «Fleming è uno scrittore vero, ha senso della trama, del ritmo, sa costruire i personaggi, alterna una lingua concreta a una più poetica. La cartina al tornasole è l'uso dei paragoni e delle analogie: mai banali, sempre spiazzanti e originali».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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