La vera critica letteraria? Quella dei lettori anonimi

La vera critica letteraria? Quella dei lettori anonimi

Ma chi sono gli addetti ai lavori che dovrebbero leggere i romanzi? Non certo i critici letterari militanti, si chiamano militanti perché amano scrivere di politica, magari sperando di essere invitati a un talk show mortuario, tipo Asor Rosa da Gad Lerner. Anzi Berardinelli lo ha perfino scritto che non gli interessano i romanzi, e se non si fosse capito l’ultimo saggio lo ha intitolato giustamente Non incoraggiate il romanzo, secondo Filippo La Porta «il libro di critica militante più bello di questi anni», figuriamoci il più brutto.
Tantomeno i romanzi si leggono nelle riviste letterarie online, che qualche anno fa si proponevano come alternative alla carta stampata. Qui sul Giornale giovedì scorso Tommy Cappellini ne ha diagnosticato la morte, anche perché a navigarci dentro c’è da annegare nella retorica sociale: «Nazione Indiana» sembra una Ong per adolescenti disoccupati con problemi esistenzial-prepuziali, «Lipperatura» un corso per casalinghe che vogliono rendersi utili nei servizi sociali e anziché fare le pulizie lottano per le quote rosa. La più atroce su scala planetaria è «Il primo amore», una parrocchia di boyscout di provincia, un portale apocalittico così moralisticamente ridicolo che al confronto i testimoni di Geova sono allegri club di scambisti, una setta tristissima dove si organizzano marce della bontà per ricucire l’Italia e si trovano appelli dove si spiega che «il nome di questo cammino sarà Stella d’Italia perché i vari percorsi dei camminatori assumeranno l’aspetto di una stella».
Invece le più belle sorprese dell’intelligenza, oggi, arrivano dal web, dai lettori, gli unici che leggono davvero i romanzi e ci riflettono. Sarà perché il lettore legge per antonomasia: su social network come aNobii (www.anobii.com), o siti come Qlibri (www.qlibri.it) si trovano letture appassionate perché chi le pubblica non ha altro interesse che comunicare una passione, una necessità, un’ossessione. Si fanno confronti con Beckett, si discute sull’eredità di Joyce e Kafka, qualcuno cita Henry James e Virginia Woolf, si sentono nomi scomparsi dai militanti delle terze pagine e dalle lagne civili delle riviste online. Sono molto puntuali nel riferire dei libri letti perfino siti meno popolari e più casarecci come Mangialibri (www.mangialibri.com), dove i libri se li mangiano semplicemente perché li leggono e ne scrivono.
Ne ho, come scrittore, esperienza diretta: i lettori sono più intelligenti dei critici perfino quando ti stroncano, perfino quando un certo Angelo, avendomi letto, mi scrive per invitarmi al suicidio: lo sento vicino, sta reagendo alle mie parole, mi ha capito, bravo. Così in questi giorni, in seguito all’uscita del mio romanzo L’inumano, ricevo lettere che di tanto in tanto pubblico sul mio account Facebook, perché mi sembra incredibile: ho dedicato due anni a scrivere un romanzo che ha al centro l’uomo, la vita e l’evoluzione, e i lettori hanno reagito, entusiasti o incazzati, con riflessioni sull’uomo, la vita e l’evoluzione, leggendo lo stesso romanzo che ho scritto. Al contrario gli addetti ai lavori si sono accorti prevalentemente delle poche pagine in cui elogio le tette di Nicole Minetti, che di giornale in giornale sono diventate sempre più grandi fino a scoppiare, oppure delle pagine contro Pier Paolo Pasolini, perché Pasolini è sociale, e dunque val bene una messa. Con questo rovescio della medaglia al valore civile: mentre chi dovrebbe pensare alla letteratura pensa come un sindacalista, ci sono cameriere, baristi, impiegati, studenti, che quando leggono un romanzo pensano alla letteratura.
Ma non solo: un altro lettore mi ha segnalato un vero e proprio saggio su L’inumano apparso su un sito di recensioni spontanee che si chiama DeBaser, e chi lo ha scritto si è firmato con uno pseudonimo, T.S. Polar. Altro paradosso: gli incapaci si firmano e sono pagati, i capaci usano pseudonimi e scrivono gratis. Ho dovuto indagare qualche giorno per scoprire il suo nome, ma alla fine ci sono arrivato: si chiama Tommaso Sollai.

Cosa ancora più incredibile, Tommaso ha ventitré anni, e i giovani saranno pure fannulloni ma perdonate, signore mie: basterebbe confrontare la recensione di Tommaso con quelle dei recensori di professione per capire se è gioventù bruciata o la vecchiaia a dover essere bruciata. Ma d’altra parte è anche vero che a un recensore, secondo un recente upgrading di Filippo La Porta, per fare critica basta un tweet. Io direi anche meno, basterebbe che stessero zitti.

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