di Bruno Giurato
Possibile che nel 2013, a quasi 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, in tema di «memoria condivisa» non si trovi un accordo sulle forme minime di rispetto dovute ai morti che non hanno un colore politico, né fascisti né partigiani? Sembra incredibile, ma a Correggio è successo precisamente questo. Un consigliere comunale del Pdl, Andrea Nanetti, ha chiesto che il Comune onorasse la memoria di due vittime della resistenza. Non certo due fascisti, ma due sacerdoti senza particolari simpatie politiche, don Umberto Pessina e don Luigi Manfredi, finiti nel tritacarne di furori rivoluzionari e vendette private che fu (ed è accertato che lo fu) l'Emilia del 44-46. Dopo che i rappresentanti della maggioranza, appartenenti al centrosinistra, avevano dato un'approvazione di massima al provvedimento, è intervenuta l'Associazione Nazionale Partigiani Italiani con una lettera di richiamo all'ordine. Risultato: marcia indietro del Pd: niente strada intitolata a don Luigi Manfredi, nessuna particolare iniziativa del Comune in memoria di don Umberto Pessina. Le vicende dei due sacerdoti sono tristemente note: il sessantenne don Manfredi, nominato parroco di Budrio, venne liquidato da una scarica di mitra davanti alla sua canonica il 14 dicembre 1944. Il suo «peccato»? Aver invitato dal pulpito a non eccedere nelle vendette nel corso della guerra civile. Il caso di Don Pessina ebbe una vasta risonanza, e diede vita a una vicenda giudiziaria chiusa in via definitiva solo negli anni Novanta. Don Pessina venne ucciso nella sua parrocchia di San Martino di Correggio il 18 giugno 1946, a guerra ampiamente conclusa quindi: il suo caso fece dire non a un qualche nostalgico della Rsi, ma al segretario del Pci Palmiro Togliatti: «Gli omicidi sono una macchia che dobbiamo cancellare». Ma torniamo alla vicenda di questi giorni. Innanzitutto stupisce la posizione del Pd, che insieme con uno zoccolo duro di elettori ereditati dal vecchio Pci si porrebbe come forza in grado di mobilitare l'ala cattolica: impedire che si onori la memoria di due sacerdoti non sembra una mossa di grande intelligenza politica, oltre che di grande autonomia culturale, piuttosto ha l'aria di un obolo stanco a un massimalismo d'antan ormai inutile se non come fumata d'oppio identitaria. Ma ancora di più non si capisce a quale titolo l'Anpi sia intervenuta in funzione di cane da guardia dell'ortodossia delle commemorazioni. Tra l'altro con una lettera piccata che contiene un riferimento ai «correggesi morti negli anni 20 a causa delle violenze fasciste» e a quelli morti a causa delle «violenze naziste».
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