Questo articolo non commenta alcuna novità editoriale, anniversario o tema e autore di cui si discute, ma risponde alla secca domanda di una ragazza che mi chiede in una mail: se dovesse indicare un solo autore, quale filosofo consiglierebbe di leggere? Le rispondo da queste colonne, prima irritato dall'insopportabile domanda troppo semplificatrice, poi disorientato fra troppi nomi che si affollano, infine deciso come se dovessi eleggere un Presidente della repubblica platonica: Plotino. E dico perché. La civiltà egizia, la civiltà greca, la civiltà romana. La fine del pensiero antico e l'inizio del pensiero cristiano. Quel crocevia si concentra in un punto, in un pensiero, in una biografia. Plotino, appunto. Nato in Egitto, a Lycopolis Magna, sulle sponde del Nilo, vissuto ad Alessandria dove vide gli ultimi bagliori della civiltà egizia e della cultura alessandrina, cercatore di tracce della sapienza d'Oriente, formatosi idealmente alla Scuola d'Atene di Platone e di Aristotele, venuto a Roma a mille anni dalla sua fondazione, nei giorni in cui i Goti distruggevano la scuola platonica ateniese e in cui l'impero cominciava la parabola del suo tramonto, Plotino è l'erede di quei tre mondi e il crocevia del pensiero mediterraneo. Dopo di lui verrà Sant'Agostino, e la Patristica. Nel suo tempo cresce la Gnosi e si diffonde il Manicheismo. A lui si deve il platonismo a Roma, con una scuola aperta anche ai politici e alle donne. A lui si deve il grande sogno della città governata dai filosofi, Platonopoli, che sarebbe sorta a due passi da Napoli. A lui si deve il primo, grande pensiero che supera il dualismo con la teoria dell'emanazione e la nostalgia del Ritorno: l'Uno emana il mondo, come i raggi del sole, e le anime avvertono il conato di tornare alle origini. Emanazione e Ritorno sono il respiro del mondo, l'Uno espira e dà fiato al mondo, il mondo inspira e torna all'Uno. A lui si deve la prima grande filosofia della bellezza che dal corpo scorre verso l'anima e dall'anima risale a Dio. La bellezza come gloria del mondo cantata dalla Luce, prefigurazione del Bello in sé. Il pensiero di Plotino è un viaggio dalle bellezze al Bello, dagli amori all'Amore, dall'uno all'Uno. La vicenda del singolo si compie e si risolve nell'Uno. In Plotino si riconcilia il conflitto doloroso tra Omero e Platone, ossia tra Poesia e Filosofia. Sorge il Pensiero poetante, dove il rigore della teoria si sposa alla bellezza delle immagini. Logos e Mistica. Il Sole è nel suo pensiero la metafora della Luce, rivelazione dell'Essere. Il sole degli Egizi, Ra; il sole dei Greci, Apollo; il sole di Roma, Sol invictus. Come il sole, la vita di Plotino sorse a Oriente e tramontò a Occidente. Il pensiero mediterraneo si riconosce in colui che ricucì le sue sponde. Ma si avverte nel suo pensiero mistico anche traccia dei sacri testi d'Oriente, Upanishad e Vedanta.
Eppure Plotino è considerato un epigono, un tramite, un minore. Anche se il suo pensiero fecondò la dottrina cristiana e il pensiero arabo, soffiò nel platonismo medioevale e nell'alchimia, poi nell'Umanesimo e nel Rinascimento, l'idealismo e il romanticismo, da Marsilio Ficino a Schelling, fino a raggiungere nel '900 personalità differenti di ambiti differenti come Jung e Florenskij, Hillmann e Hadot, Eliade. Pure Leopardi s'innamorò di lui e a lui dedicò un dialogo, uno dei suoi pochi scritti in difesa della vita, quando Plotino riesce a dissuadere il suo allievo Porfirio, che sarà poi il suo biografo, dal desiderio di suicidarsi.
Per tutte queste ragioni, nel duemila, che consideravo anno decisivo, escatologico, dedicai un libro a Plotino. M'innamorai del suo pensiero già al liceo, lo coltivai poi dagli anni dell'università, studiando filosofia e infine pensai di salutare il passaggio di millennio con lui, il pensatore del Passaggio d'Epoca, testimone della fine del mondo antico e dei primi bagliori del cristianesimo. Ricordo quel libro come un rapimento, un'ebbrezza lucida, forse un'insolazione. Fu scritto nel mese che Plotino dedicava a Platone, in occasione del suo Natalizio, tra maggio e giugno. Benché pensato per anni e maturato attraverso vari appunti e letture, fu scritto di getto, in ventotto giorni, da una luna piena a una luna piena, con una gioia di scrivere e una facilità di scrittura, quasi che fosse già tutto dentro di me, solo da trascrivere, o se preferite un'accezione meno oracolare, da sbobinare. Nella follia di quei giorni di beata solitudine, mi attenni a un ritmo, a un numero di pagine e a un ordito di parole che evocavano le Enneadi, i suoi 54 trattati divisi in nove opere. Quando lo terminai ero solo in casa al mare e la porta si aprì, da sola. E lo aggiunsi in appendice al libro: «Mentre scrivo queste terminali parole la porta di casa si spalanca da sola. Sarà il vento». Sarà stato il frutto di una distrazione e di un maestrale, o di un solipsista invasato. Ma in quel momento non lo pensavo, e sarei bugiardo se dicessi che ora invece lo penso (lasciateci le piccole follie).
Lo scrissi in forma di autobiografia, in prima persona, riferendomi agli ultimi anni vissuti da Plotino nella campagna di Minturno, dove morì. Era un bilancio della sua vita e del suo pensiero, attraverso i luoghi e i temi che li avevano scanditi. Gli impliciti modelli di scrittura erano Zarathustra di Nietzsche e Adriano della Yourcenar. Ma uno Zarathustra che non scende nel mondo ma risale alla sua solitudine e un Adriano che non si cura della grandezza storica ma della luce del pensiero. Dietro l'apparenza di una fictio, tutti i dettagli storici e teorici combaciavano con la realtà e così i nomi e i luoghi citati. Alcuni episodi, come l'amore per Gemina, erano invece amorose illazioni. Plotino aveva ritrosia a parlare e a scrivere di sé. Plotino si vergognava di avere un corpo, fermò il suo allievo Amerio che voleva farlo ritrarre dal pittore Carterio, aveva perfino pudore di mangiare in presenza d'altri. Perciò immaginai di aver scritto un'autobiografia, Vita natural durante, che Plotino aveva poi annegato nel fiume del tempo, inabissandolo nelle acque del fiume Lyris. Quel fiume Liri, oggi noto come Garigliano, si ricongiungeva in una geografia poetica al fiume Nilo delle sue origini, ai fiumi Illisso e Celari di Socrate e dei suoi allievi e dei suoi dialoghi platonici, ai fiumi della sua maturità, il Tigri e l'Eufrate, crinali d'Oriente e Occidente, e infine al Tevere alle cui sponde rimase per oltre un ventennio. Il libro finisce nei fondali del fiume e si perde ogni sua traccia; e dunque quel che i lettori avevano letto in realtà non esisteva.
E così accadde davvero, perché quel libro uscì nelle librerie in un giorno assai speciale, l'11 settembre del 2001, e scomparve schiacciato da un Evento senza precedenti. I libri passano, naturalmente, ma Plotino resta. Il suo pensiero al tramonto delle civiltà è il Canto del Cigno del pensiero antico ed esprime la Nostalgia dell'Essere.
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