Il cumenda svuota il conto estero. E si fa beccare

nostro inviato a Chiasso

Pescati con le mani nel sacco. Anzi, con le mani in tasca. Nell’estremo, disperato, tentativo di difendere la prova dei loro trasferimenti di denaro in Svizzera. E, nell’ancora più disperato e vano, tentativo di riportarli in Italia senza lasciare tracce. Risultato? Centonovantuno verbali di sequestro di documentazione bancaria. Che hanno consentito di accertare una disponibilità di denaro all’estero, per altrettanti cittadini italiani, di 12 milioni di euro, sottratti al Fisco e adeguatamente sistemati per anni al sicuro nei forzieri del Canton Ticino. Sono i numeri che gli uomini della Guardia di finanza, in servizio al Valico di Ponte Chiasso-Brogeda e alla stazione ferroviaria di Chiasso, distillano con un certo orgoglio, perché, centesimo dopo centesimo, hanno portato, nel primo semestre dell’anno, a scoprire redditi non dichiarati per tre miliardi e trecentomila euro.
Ma sono anche numeri che dimostrano come già da qualche settimana, alle prime avvisaglie di ciò che sarebbe poi potuto venire a galla con l’«infortunio» capitato alla famiglia Agnelli, i piccoli e medi «contribuenti» nostrani si siano fatti prendere dal panico. Si siano sentiti braccati. Tanto che, nel peggiore degli stati d’animo, hanno commesso e stanno commettendo un errore dopo l’altro. Recuperando prima il denaro che avevano riposto con tanto amore nelle banche cantonali e poi gettandosi, per paura, per ingenuità o, peggio ancora, per micragnosità, nella rete del Fisco, proprio sulla via del ritorno, ad un passo da casa. Cioè dalla salvezza e dall’impunità.
Ma che cosa è accaduto esattamente? Semplicemente che gli evasori italiani «pizzicati» sono stati pizzicati perché, pur non avendo in tasca il becco di un quattrino, tenevano invece nel portafoglio la ricevuta della banca svizzera di loro fiducia, che attestava il trasferimento «a ritroso» dei denari (portati a suo tempo illecitamente oltre confine), nuovamente su un conto corrente di una banca italiana.
Un po’ come tenersi in tasca la carta della merendina appena rubata al supermercato. Capite perché sorridono, mentre ci raccontano queste cose i finanzieri che presidiano Ponte Chiasso? Ciò che ha sorpreso di più gli uomini delle Fiamme Gialle è che la documentazione bancaria sequestrata, in 180 casi su 191, era compilata con un’invidiabile meticolosità: nome e cognome del titolare del conto, indirizzo in Italia etc. Solo in pochissimi casi si trattava infatti di conti cifrati, nascosti dentro a nomi di fantasia, in verità piuttosto esilaranti. Ad ogni modo una «leggerezza» imperdonabile, chiamiamola così, da parte di tutti coloro finiti nella rete, che sta consentendo in questi giorni agli investigatori del Comando generale di Como di tracciare una mappa dei viaggi dell’evasione che va dalle zone immediatamente a ridosso del confine elvetico, fino alla Sicilia. Ciò che emerge da queste cifre è naturalmente anche e soprattutto il maldestro e inutile tentativo di sottrarsi agli obblighi imposti dallo scudo fiscale. Un’operazione poco remunerativa quella compiuta dagli evasori, piccoli o grandi che siano, se si considera, lo ricordiamo, che sotto i 250mila euro ce la si può cavare pagando un’oblazione pari al cinque per cento della somma che si tiene in tasca. Anche se, ovviamente, non si sfugge ad un rapporto-denuncia che gli uomini della Guardia di finanza sono comunque tenuti a fare. Dicevamo dell’onda lunga del caso Agnelli, ebbene un altro dato significativo che filtra dalla stazione ferroviaria di Chiasso (che ospita anche la polizia di frontiera, l’ufficio delle dogane e il centro di cooperazione investigativa interforze) è che i sequestri di documentazione bancaria e valutaria si sono letteralmente impennati, in tempi recentissimi, facendo registrare un incremento del 35 per cento. Annebbiati dalla paura o un po’ rintronati dal caldo gli «evasori di ritorno» hanno scelto quindi la via più rapida per farsi scoprire, quando sarebbe stato sufficiente, giusto per fare un esempio, non prendeteci in parola, spedire o farsi spedire dentro una busta la loro preziosa ricevuta bancaria.

Fidandosi, una volta di più, e giustamente della puntualità e dell’efficienza delle Poste svizzere. Invece di farsela consegnare, la ricevuta, si sono direttamente consegnati loro medesimi. Per la gioia di una dozzina di Procure italiane. Che adesso stanno passando al microscopio i loro redditi.
Gabriele Villa

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