Ci sono cose che in un giornale non si devono fare. Scrivere articoli sulla base di emozioni personali, ad esempio. E allora faccio subito una premessa. Questo non è un articolo, non vuole offrire una verità, ma raccontare quello che può provocare un blitz come quello organizzato per prendere Maria e riportarla in Bielorussia. Magari non sarà successo solo a me, magari non interesserà a molti, ma venerdì sera, uscendo dalla redazione, ho pianto. Tanto. Per il caso di Maria, ma soprattutto per quello che mi ha lasciato dentro.
Perché in tutta sincerità sapevo già di non avere molta fiducia in alcune istituzioni. Ma molte volte in passato mi sono impegnato in prima persona per aiutare associazioni che si occupano dei bambini indifesi, governative e non governative come si usa dire oggi. E io, da tutti questi paladini dei bambini, non ho sentito una sola parola sulla vicenda. Forse perché ci sono bambini che meritano feste snob per raccogliere fondi e altri che possono tranquillamente tornare in un orfanotrofio dove hanno subito violenze di ogni tipo. Perché esistono bambini per i quali si devono organizzare marce della pace sapendo che non servono a niente e altri che diventano solo una seccatura, con la loro voglia di amore. Pazienza, ora lo so. E so cosa farò quando mi chiederanno anche solo uno spicciolo per una di quelle associazioni.
Venerdì sera mi sono rivisto al catechismo. E in chiesa tutte le domeniche. Ho riascoltato pagine di Vangelo in cui si diceva cosa convenisse fare a chiunque dava scandalo a «uno solo dei fratelli più piccoli». E ho ripensato a quanti, nella storia, hanno avuto la forza e la fede di ribellarsi alla Legge di Cesare per dare a Dio quel che è di Dio, anche a costo della propria vita. E non di un improbabile avviso di garanzia. Ho ripensato al parroco di Cogoleto e ai frati del San Bernardo, allex arcivescovo Bertone e al nuovo arcivescovo Bagnasco, al religioso che ha denunciato le «nonne» di Maria e alle suore di Quinto.
Venerdì sera mi sono tornate in mente persino la favola di Pinocchio e le canzoni di De André. Del dispiacere che mi dava, ogni volta, sentir cantare che «il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri». A me, che stavano persino simpatici i due gendarmi che portavano in prigione Pinocchio, perché sapevo che lo facevano per il suo bene. A me, che dà fastidio chi, per far smettere i capricci dei figlioletti, minaccia larrivo di qualcuno in divisa. A me, che fino a venerdì ero convinto che quel «cuore tenero» fosse capace di ubbidire agli ordini e alla ragione contemporaneamente. Ho pianto tanto, pensando che altre mie certezze iniziavano a vacillare.
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