Cuore&business Il fair play aiuta sempre i presidenti

Diffidate da chi dice: contano i giocatori, non i presidenti. Potrebbe essere un procuratore. Il caso Ibra dimostra che tra i due contendenti, vince sempre il terzo incomodo. E Mino Raiola è l’ultimo esemplare di questa specie vincente. Negli ultimi anni ha terremotato società, e spogliatoi, a suo piacimento. E, soprattutto, a piacimento del conto in banca. Direte: fin qui niente di nuovo. Andare al dunque... Ecco, appunto: il caso Berlusconi ripropone il dilemma: contano di più i presidenti o i giocatori? La risposta è quasi ovvia: i procuratori. Anche se la vox populi sarebbe portata a dire: i giocatori. Balotelli è andato dove ha voluto, Ibrahimovic lo sta dimostrando per la seconda volta, Kakà ha indirizzato la preferenza dopo aver rifiutato il Manchester City, Ronaldo si prese la rivincita su qualche bugietta di Moratti, passando sia al Real sia al Milan. Tanto per guardare all’estero: quest’anno Dzeko ha deciso la sua sorte più di quanto lo abbia deciso il Wolfsburg e così Mascherano.
Ma l’intervento di Berlusconi ha detto che i presidenti hanno ancora una funzione, che non è solo quella di cacciare i danari: quando vogliono sanno far volare le ragioni del cuore. I tifosi godono. I calciatori approffittano di queste debolezze. Ma sono proprio debolezze? Moratti, dopo tanto spendere, ha trovato la quadratura sul campo e le soddisfazioni. I tifosi dell’Inter oggi sono molto più tranquilli. Quelli del Milan si sono tranquillizzati vedendo arrivare Ibra e magari voleranno abbonamenti e affini. La Juve ha chiesto un supremo sforzo ad Agnelli(no) e lui ci sta provando. Poi si può discutere sul tipo di spese, ma ci prova. Se poi arriverà la qualificazione Champions... Perfino la Roma ha tentato il supremo sforzo, bloccando Burdisso e soffiandolo alla Juve che si è vista rifilare un bel «no!» dall’argentino. Ognuno si consola come può.
Ma, a questo punto, conta di più la decisione del giocatore o l’alleanza con il presidente di turno? Ovvero: quando contano i presidenti? Il caso Ibra-Berlusconi-Galliani sta lì a dimostrare la miglior formula. E noi, suiveurs del calcio, cosa preferiamo? Ibra ci ha spiegato tutto in tre secondi: «Il calcio insegna che vorresti stare quattro anni in un posto ed, invece, dopo quattro giorni te ne vai». Morale: bisogna adattarsi ai tempi. Meglio un giorno da leoni che cento da pecora. E chissà mai che lo strapotere decisionale dei giocatori non dia una mano al fair play finanziario. Moratti insegna. La cessione di Balotelli ha avviato la sua parsimonia ad uso del bilancio. Berlusconi ha mollato a malincuore Kakà e Shevchenko per riequilibrare i conti. Stavolta non ha resistito all’idea Ibra, ma forse se lo può permettere grazie ai danari suoi e alle operazioni preventive. I bilanci saranno ribilanciati da altre cessioni. La Juve si risistemò mollando Zidane al Real. E ricostruì un’altra Juve.


Ecco, l’idea di adeguarsi al fair play è soprattutto un buon alibi. E, forse, quell’essere scavalcati da giocatori e procuratori è il male minore. Comandano i giocatori? Comanda il business. Meglio se in accordo con la voce del cuore.

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