La cura per il Pd: catenaccio, ippica e statuine

Gli amanti maltrattati sono gli aguzzini più crudeli. Così, quando il Pd ha lanciato il grande concorso «cerca le 10 parole di cambiamento», il primo suggerimento è arrivato sul sito di Repubblica da un elettore disperato: «Andatevene a casa e lasciate il posto a gente nuova». Dieci parole. Ma il Pd già nell’acronimo ha la Pars Destruens. Proviamo quindi, guardandoli da fuori, ad essere costruttivi e a proporre la nostra sporca decina di possibili cure.

LINGOTTO. Dal luogo torinese che lasciava presagire (sbagliando) un futuro dorato, nacque nel 2007 il Pd. Nacque dai nobili intenti di Walter Veltroni. Morì e fu sepolto in parecchie urne. Una vita breve di stenti e privazioni fino all’ultimo atto, di nuovo al Lingotto, dove mercoledì Montezemolo - ironicamente - ne ha scritto l’epigrafe: «Lasciamo spazio ai giovani». Tornare alle radici. Per trovarle secche e potare tutto.

CATENACCIO. La lezione viene da Mourinho, che con la sua Inter ha saputo difendersi contro un Barcellona più forte e batterlo con armi diverse. Si è chiuso e ha fatto quadrato. La tattica del Pd invece è «ognuno corre per sé», vittorie facili solo in casa - nei feudi rossi -, e nessuna identità di squadra. Dello Special One portoghese i democratici hanno preso solo il peggio: quando perdono danno sempre la colpa all’arbitro.

SEXY. Lo ha detto Enrico Letta: «Dobbiamo essere più sexy». Dopo la Binetti, dunque, si attendono le dimissioni di Rosy Bindi. Ma più che altro, è difficile immaginare un’opposizione più sexy di questa: Noemi, la D’Addario, le insinuazioni contro la Carfagna e le «veline» candidate. Più che l’Unità, il giornale di partito sembrava Le Ore Mese. Cosa manca? Candidate Edwige Fenech.

PALOMBELLA. È la traiettoria dei democratici, drammaticamente discendente. Quella rossa era un film di Nanni Moretti, da cui questo Pd ha imparato poco e male. Ha imparato il «che ci frega a noi delle masse?» e soprattutto l’essere «sempre a suo agio e d’accordo con una minoranza di persone». Non ha detto «qualcosa di sinistra», non ha capito che «chi parla male, pensa male e vive male» (per non parlare di come fa male politica). No, si è fermato allo snobismo puro senza averne i crismi, si è fermato alla spocchia di Capalbio, dei salotti e dei Baffini, delusi perché «se votassero solo i lettori di libri vincerebbe la sinistra». E sarebbero democratici...

SCAPPELLAMENTO. Ugo Tognazzi docet. Per ritagliarsi un ruolo serve lo scappellamento a sinistra (se si vuole salvare la faccia) o a destra (se si vuole salvare qualcos’altro). L’unica cosa che non funziona è barcamenarsi senza capo né linea. Chiari e decisi come la sambuca non lo sono mai. Eppure l’esempio ce l’hanno di fronte: vincono dove imitano il centrodestra, come col sindaco sceriffo De Luca a Salerno o con Chiamparino federalista a Torino. Due che sanno quel che dicono, non come i discorsi di Veltroni. Lui, che era il fuoriclasse del nonsense: tarapia tapioco, prematurato in Africa ma anche come fosse vicesindaco.

CAUZIONE. Aumentino il prezzo delle salamelle dell’Unità, piazzino Franceschini in piazza del Popolo a dire «Costituzione» a gettone, ma facciano una colletta e si paghino la cauzione. Si riscattino da Di Pietro, che li ha sequestrati e manderà i lobi dei leader ai parenti come l’Anonima Sarda. Ormai hanno portato abbastanza acqua al suo mulino, nemmeno nella Roma antica i liberti ci mettevano tanto ad affrancarsi. Si paghino l’autonomia dagli stereotipi.

ESPRESSO (DOPPIO). Non la rivista principessa dell’anti-berlusconismo. Proprio il caffè. Nero e forte in barba al Ventennio. Ne assumano galloni, si facciano delle endovene. Sembrano in catalessi: prendono schiaffi elettorali e ringraziano, falliscono ovunque e rinnovano la stima ai vertici, subiscono Madìe e Serracchiane con l’atarassia di bonzi tibetani. Sono la pubblicità della camomilla, dello scaldotto dolce sonno. Serve tachicardia, effervescenza naturale, qualche cucchiaino di idee a costo di farsi ingiallire i denti.

RITORNO DI FIAMMA. La labirintite ormai è una realtà e in quest’ottica Gianfranco Fini è diventato un’icona. Il dissenso da idolatrare e imitare. Ha rinnegato Silvio a costo di tornare all’Msi? Grande idea, ci provino pure loro. Epperò sulla strada del ritorno a falci e martelli arrugginiti c’è un ingorgo pazzesco: Ferrando, Ferrero, Diliberto. Indietro non si torna, meglio rimanere vicino alla Fiamma, allora, non si sa mai che li riscaldi. Male che vada si bruciano.

IPPICA. La bocciofila di Bersani era troppo ruspante. E poi per fare boccia-punto servono le palle e di quelle c’è un po’ di carenza. Il destino del Pd è darsi all’ippica. Peccato che in questi anni abbiano allenato brocchi e lasciato ritirare o partire autentici purosangue come Cacciari o Vendola. Come non detto, forse il Pd altro non è che un baretto per il tresette. Anzi, per il rubamazzo.

BELLE STATUINE.

Non i leader immobili, ma quelle da lanciare, come il duomo di Tartaglia. Perché l’unica «parola di cambiamento» è l’eliminazione. Cancellazione, annientamento, sparizione, incantesimo, vudù. Liberarsi di Berlusconi per rinascere. Ancora due parole: messi male.

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