Curradi, dramma borghese che non convince

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Il nuovo romanzo di Mauro Curradi Junior (Meridiano zero, pagg. 222, euro 13) è un’opera disposta su almeno tre strati, dal superficiale al più profondo; probabilmente le inconsistenze che maculano i primi due servono a spingere oltre il lettore e fargli raggiungere lo strato più nascosto, livido e sinistro quanto una partita a poker giocata da un crocchio di automi. A tale strato e alla scarnificazione dell’umano che vi è contenuta allude peraltro già il décor in pietra serena dello sfondo sociale e culturale in cui si muovono i personaggi. Ma procediamo con ordine.
All’apparenza Junior mette in scena un dramma borghese ambientato nella Toscana dell’ultimo dopoguerra. Elia Repaccini, «il boia di Prato», torna in Italia dopo tre anni passati all’estero. Alle spalle, oltre a un passato da torturatore repubblichino, ha una fabbrica tessile che poco prima di espatriare è riuscito a intestare al figlio Francesco, per opportunismo iscritto al partito comunista.
Quando Elia è ucciso dalla ex amante Tamara, una prostituta che a detta di molti partecipò attivamente alle torture del compagno, Francesco vorrebbe liberarsi dell’azienda nonché dell’infamante cognome paterno: diventare insomma per tutti solo «Junior». Ma non può farlo perché i genitori di Gianna Bistolfi, sua promessa sposa, gliela concederanno solo a patto che egli rimanga proprietario della fabbrica. Peccato che per pagarne i debiti Francesco debba chiedere prestiti all’amico e concorrente Marco, il quale è innamorato di Gianna e si serve delle cambiali per ottenerne i favori.
Sotto questa crosta elegantemente rétro si intravede un palinsesto edipico, forse addirittura pre-olimpico. Elia è il genitore che con la sua rumorosa lontananza lascia il figlio senza strumenti di potere, il dio padre violento che non permette si sfidi la propria sovranità e dunque prepara, per così dire, la propria eternità. Ma soprattutto la psicanalisi ci ha insegnato che qualora due uomini si contendano troppo a lungo una donna, il «triangolo» cela in realtà una relazione maschile omosessuale (il celebre «teorema Gilda»).
Ci sono nel romanzo rivelazioni che arrivano troppo in fretta, senza essere preparate. Per esempio quando Marco dichiara il suo amore per Gianna, si potrebbe avere la tentazione di pretendere una maggiore verosimiglianza del dialogo. In altri passi azioni quasi criminali sono congelate, e accolte con innaturale autocontrollo. Ma come già detto si tratta, crediamo, di scelte deliberate, che introducono al nucleo concettuale di Junior. Quella di Curradi non è una scrittura psicologistica, e i personaggi che la popolano non sono persone. Sono, piuttosto, funzioni ludiche, pezzi di scacchi le cui «regole» sono sentimenti. I sentimenti, in Junior, non sono passioni: sono tratti che aprono un ventaglio di mosse possibili.

Come la definizione dell’alfiere o del pedone sta tutta nei movimenti che può fare sulla scacchiera, così Marco è dominato dalla vendetta, Francesco dall’abulia, e Gianna è il re che rilancia il gioco muovendosi pochissimo. Da qui l’andatura glaciale dei personaggi. Sarebbe infatti ridicolo - parola di Wittgenstein - disegnare a lapis un sorriso di trionfo sulla bocca della regina, dopo che questa ha dato scacco.

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