di Gian Marco Chiocci e Stefano Zurlo
Afferrare i fili di un complotto è sempre molto difficile. Ma qualche spiffero può aiutare a capire. È quel che sta succedendo a Bari con la «controinchiesta» su Patrizia D’Addario e i suoi presunti mandanti. Il nuovo procuratore della città Antonio Laudati si insedia il 9 settembre scorso, proprio il giorno in cui il Corriere della Sera pubblica in prima pagina, con grande risalto, i verbali esplosivi di Gianpaolo Tarantini, Gianpi per gli amici. Deposizioni a dir poco imbarazzanti che fanno rotolare sul Palazzo come una valanga le narrazioni sulle escort portate alla corte del premier. Ma quei verbali sono anche riservati: chi ha avuto interesse a pubblicarli? Quel brutale benvenuto spinge dunque Laudati ad aprire l’inchiesta numero due, quella che ha per oggetto le origini dell’inchiesta numero uno.
Il peccato originale. Quelle fughe di notizie pilotate potrebbero avere una relazione con i misteriosi interlocutori che hanno spinto la D’Addario, col suo inseparabile registratore, a troncare una lunga carriera pur di infilarsi fra le lenzuola del premier. Oggi, la Procura di Bari, irritata per lo scoop di Panorama che ha annunciato gli sviluppi dell’inchiesta sul complotto, prova a smentire. Con tanto di comunicato ufficiale: «In merito alla notizia di stampa apparsa su Panorama relativa alla pretesa ipotesi di accordi fraudolenti miranti ad una calunniosa rappresentazione processuale, con conseguente iscrizione nel registro degli indagati di magistrati, politici giornalisti o professionisti, questa Procura smentisce che vi siano iscrizioni di reato aventi tale contenuto».
Ma la smentita è una coperta corta che non copre gli accertamenti compiuti. E che, comunque sia nata e la si voglia chiamare, ha fatto passi in avanti importanti. Sono proprio gli spifferi ad aver guidato la mano degli investigatori. Troppe, le fughe di notizie. Tutte devastanti. E troppi i protagonisti saliti sul palcoscenico di un’inchiesta apparentemente scivolosa e pericolosa. Si comincia il 17 giugno con l’intervista del Corriere della Sera alla D’Addario. E qui sorge un primo, decisivo problema: chi è stato a chiamare chi? È stata lei a muovere via Solferino o il contrario? Anche perché risulterebbe che all’inizio si era concordata un’intervista al settimanale Oggi.
Poi si decide di pigiare sull’acceleratore. Forse, qualcuno ha dato via libera a quel fiume di racconti a base di sesso. E certo, la corazzata di via Solferino è l’ammiraglia che serve per far rimbombare ovunque quelle dichiarazioni piccanti. Che sporcano l’immagine del premier e fanno rapidamente il giro del mondo. A Laudati, sia chiaro, non interessa la solita, scontata inchiesta sulla fuga di notizie che, normalmente, si chiude con una bella archiviazione per la felicità dei giornalisti. No, il magistrato va giù pesante, per capire. E qualcosa capisce, affidando gli accertamenti ad una squadra di investigatori esterni alla sua Procura, perché, si sa, la prudenza non è mai troppa. E cosa salta fuori dal complesso lavoro di scavo? I tabulati, e soprattutto, le celle agganciate dai telefonini dei soggetti sotto osservazione, permettono di ricostruire la cartina degli spostamenti. E di costruire così una mappa delle frequentazioni. Salta un primo tappo, si delinea un network inquietante. Giornalisti, professionisti, magistrati, politici.
Tanti rapporti incrociati. La sensazione, e anche qualcosa di più, è che forze diverse abbiano cooperato per spingere la D’Addario verso Palazzo Grazioli e poi verso i grandi giornali nazionali, con l’obiettivo successivo di poter indirizzare ulteriormente le indagini. Certo, occorre scandagliare quel network di figure importanti per capire la genesi del personaggio D’Addario. È quel che sottolinea Panorama in risposta alla smentita della Procura: «La direzione di Panorama ribadisce di aver svolto tutte le verifiche indispensabili prima di pubblicare l’articolo e di non aver avanzato autonomamente alcuna ipotesi limitandosi a riportare notizie raccolte a Bari. Notizie rispetto alle quali ha ricevuto autorevoli riscontri e conferme granitiche». Non solo: «Si ribadisce che magistrati, politici e giornalisti compaiono a vario titolo nell’inchiesta così come autorevolmente riferito a Panorama». Gli spifferi, dunque. Il 17 giugno, l’inchiesta irrompe sul Corriere della Sera. E Patrizia D’Addario si racconta. Poi il 21 e il 22 luglio, tocca a Repubblica diffondere le telefonate, blindate, fra Patrizia D’Addario e Gianpaolo Tarantini. Ecco il lettone di Putin, la tartarughina, e i mille euro pattuiti. In teoria, si tratta di conversazioni che non sono state nemmeno sbobinate.
E allora? Chi è stato a dare al quotidiano diretto da Ezio Mauro quel materiale così appetibile? Che arriva in tempo reale anche sul sito dell’Espresso. Laudati risale quelle correnti d’aria pilotate, segue i flussi, fa studiare tabulati e celle. Allarga la sua mappa. Si convince che la escort non sia un’esca inconsapevole. Del resto, sarebbe difficile credere che una povera donna, scottata da esperienze umane difficili, sia andata come don Chisciotte all’assalto di Palazzo Chigi. Laudati fa un altro passo importante: si trovano consistenti movimentazioni bancarie a Doha in Qatar. Si tratterebbe di 1,5 milioni di euro nella disponibilità della donna. Tanti soldi che potrebbero fornire una pista più precisa. Molte delle mosse della controinchiesta non sono note. Ma tanti elementi sono stati accostati: l’amicizia dell’avvocato della D’Addario, il nuovo penalista che la tutela, con i pm di Bari. Gli incontri, almeno quattro, di Gianpaolo Tarantini con Massimo D’Alema che, profeticamente, anticipa la «scossa» che puntualmente arriverà da Bari.
Le parole di Manila Gorio, il transessuale che in un’intervista al settimanale Di Tutto spiega due cose: la D’Addario ha simpatie a sinistra; non è una sprovveduta, è da mesi che si stava organizzando. Laudati si convince che Patrizia sia stata selezionata per azzoppare il premier.
Qualcuno ha avvelenato i pozzi. Chi? A presentarla a Gianpi è stato Massimiliano Verdoscia, arrestato in agosto per spaccio di droga, ma questo è solo il primo passaggio di una catena molto più complessa. Ancora da ricostruire.