da Roma
«Be', se mi dessero Benigni per fare Geppetto sarei l'uomo più felice del mondo. Roberto è un talento assoluto. Saprebbe imprimere una poesia speciale al personaggio, alla sua struggente voglia di paternità. Vedremo. Magari sto solo sognando». Alessandro D'Alatri ha ricevuto dalla Lux Film di Luca Bernabei una proposta inattesa, ancorché allettante: girare per Raiuno una miniserie in due puntate su Pinocchio. Reduce da Commediasexi, ci sta pensando seriamente. «Come si fa a dire di no? Primo, perché amo le sfide artistiche, e io non ho mai lavorato per la televisione. Secondo, perché Pinocchio ce l'ho nel cuore, l'ho letto non so quante volte ai miei figli. Potrei recitarlo a memoria».
Quando si dice il caso. Proprio domenica, su Sky, è passato il film che il comico di Vergaio girò e interpretò nel 2002, e neanche due settimane fa il festival di Pesaro, nel rendere omaggio a Luigi Comencini, ha riproposto il burattino televisivo del 1972, quello mitico con Nino Manfredi, Franco & Ciccio, Gina Lollobrigida e l'impagabile Andrea Balestri, oggi quarantaquattrenne. D'Alatri lo ricorda bene. «Aveva una forza particolare, anche dal punto di vista estetico, direi una qualità d'autore difficile da ritrovare nella tv che si fa oggi. Molto anni Settanta nel rovesciare a tratti il messaggio pedagogico del libro, con quella Fata turchina quasi matrigna, distaccata e borghese, quel Geppetto così mite e tenero, quell'Italia immersa in una povertà crudele. Non per niente lo scrisse Suso Cecchi d'Amico: la classe non è acqua».
Il nuovo copione, firmato da Ivan Cotroneo e Carlo Mazzotta, probabilmente sarà più fedele allo spirito del romanzo. L'idea è di riproporre il classico collodiano senza troppe varianti, se non quelle necessarie a contenere la storia nell'alveo delle due puntate. «Certo che sono incuriosito dall'offerta, anzi ringrazio per aver pensato a me. Anche se, prima di decidere, devo capire meglio. Per la serie: come, dove, quando? Tra qualche giorno leggerò la stesura definitiva, poi ci sarà da discutere il resto. Il cast, la dimensione produttiva, i luoghi nei quali girare, gli effetti speciali. La storia ne richiede parecchi, pure costosi, non è più tempo di trucchi di cartapesta».
Forse si può capire la titubanza di D'Alatri. Abituato a un dominio pressoché assoluto sui suoi film, sin dai tempi di Americano rosso, il regista sa bene di doversi confrontare con un progetto al quale non ha contribuito sin dall'inizio. «È il Pinocchio della Lux, pensato e scritto da altri. Però la cosa mi tenta molto.
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