D’Alema ai vecchi compagni: «La vostra è falsa coscienza»

Il presidente ds: «Contro di me solo accuse ridicole». Fassino: «Si tenta di avvelenare il clima politico»

Laura Cesaretti

da Roma

Messi «sotto attacco», come dice Piero Fassino; avvertiti da uno che la sa lunga come Francesco Cossiga che «vi vogliono fare fuori, rischiate l’eliminazione politica»; sostenuti da (alcuni) alleati come Mastella e il socialista Biscardini, che denuncia lo «sciacallaggio giustizialista» contro D’Alema, i Ds passano al contrattacco.
Ieri lo ha fatto il segretario del partito, con una lunga e in verità assai pacata intervista al quotidiano La Stampa, e lo stesso D’Alema, con toni giustificatamente più veementi essendo lui il chiamato in causa, in una conversazione con lo stesso giornale e una lettera aperta all’Unità. Oggi toccherà invece a Repubblica di ospitare il pensiero del presidente della Quercia, che inoltre aprirà la giornata in diretta su La7: «Dietro gli attacchi» alla sua persona, spiega, ci sono «avversari politici, e non solo». Quanto alle accuse, sono «ridicole: credo sia un modo miserabile di fare battaglia politica. Ad ogni modo - aggiunge D'Alema - non ho nulla da nascondere nonostante trovi incredibile che si debba sapere tutto del mio conto corrente». È convinto comunque di uscirne «vincitore», e torna a menare fendenti sul «salotto buono», sul Corriere della Sera, su chi vuole utilizzare in modo «strumentale» (contro la Quercia) il progetto di partito democratico. Quanto all’operazione Unipol/Bnl, D’Alema continua a difenderla a spada tratta, né prende le distanze dal suo regista Giovanni Consorte, pur restando in attesa delle conclusioni dell’inchiesta giudiziaria. Fassino sembra più cauto, e tiene a distinguere tra i «legittimi obiettivi» della scalata a Bnl e «i comportamenti dei singoli di cui rispondono i singoli». Mentre spiega che «il tentativo di coinvolgere D’Alema», che i soldi «li dà e non li prende» dalla banca di Fiorani, è la dimostrazione di un «tentativo di avvelenare il clima politico». La controffensiva comunque è partita, «ed è solo l’inizio», annunciano in casa ds, dove garantiscono che «questa campagna di discredito contro il nostro partito crollerà su se stessa, e si ritorcerà contro chi la utilizza».
Sulla prima pagina dell’Unità, D’Alema si sfoga, e denuncia di avere «la sensazione di essere spiato, minacciato anche attraverso mezzi illeciti», sensazione «estremamente sgradevole che mostra quanto vi sia di torbido nelle vicende in corso e nel tentativo di strumentalizzarle contro il nostro partito e i suoi dirigenti». Il presidente ds punta il dito contro il «falso moralismo fatto di insinuazioni, sospetti e volgarità» nei suoi confronti su banche e barche, «come se dopo trentasei anni di lavoro mia moglie e io non potessimo destinare i nostri risparmi al possesso (per ora all'affitto) di un terzo di una barca a vela». Rassicura i lettori (e probabili elettori): «Il presidente dei ds non ha ricevuto affidi né guadagnato soldi ma solo pagato con gli interessi».
Se la prende anche con «un paio di vecchi compagni» che in interviste sui giornali (il riferimento è a Luciano Barca e Giovanni Berlinguer) «si sono abbandonati alla reminiscenza delle austerità del passato, contro il lusso intollerabile del presente». «Retorica e falsa coscienza», insorge D’Alema, che ricorda «più di un compagno appassionato velista», che in passato possedeva barche a vela, come lui.
Nel mirino dalemiano, oltre al solito Corriere, finisce anche la Stampa, rea di aver pubblicato ieri un’intervista al costruttore di Ikarus, Di Veroli, che smentiva di aver suggerito lui la società di leasing al leader ds. «Qualcuno teme forse che Unipol possa diventare azionista della Fiat?», si chiedeva la Velina rossa.

Nel pomeriggio il fratello di Di Veroli contro-smentiva: «Sono stato io a consigliare la società». La Stampa spiegava di avere la registrazione delle dichiarazioni riportate. E sulle sue pagine la Jena, alias Riccardo Barenghi, metteva un epitaffio fulminante sulla faccenda: «Sotto la banca, la barca crepa».

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