Ma D’Alema per chi vota?

A 24 ore dall’apertura delle urne romane, l’aria che si respira nel loft è tesissima.
Per la prima volta, la possibilità di una sconfitta e dei suoi disastrosi contraccolpi viene ammessa. E in ballo non c’è solo il sindaco della Capitale, ma un intero sistema di potere, una geografia politica, l’assetto e la futura linea di tutto il Pd. Perché una cosa è chiara, come spiega un parlamentare vicino a Rutelli: «Non ci sono alternative, se Veltroni esce male dalla partita del Campidoglio, il Pd finisce in mano a D’Alema».
All’inizio della prossima settimana è già convocato l’«ufficio politico», organismo anomalo composto dai maggiorenti Pd, che sarà chiamato a valutare la «situazione politica», come si diceva un tempo a Botteghe Oscure. E una cosa è certa: che a Roma si vinca o si perda, a finire sotto esame sarà l’intera gestione, accentrata al loft, della campagna elettorale e della vita del partito in questi mesi. A prescindere da Roma, i capi di imputazione contro il segretario non mancheranno. E si inizierà a parlare di assetti, a cominciare dai futuri capigruppo: dalla loro scelta si capirà molto del vero equilibrio di poteri interno, e di quanto la leadership di Veltroni sia destinata a resistere.
Certo una sconfitta a Roma lo indebolirebbe assai, e si scaricherebbe nell’immediato sull’uomo più potente del Pd veltroniano, quel Goffredo Bettini che ha avuto in questi anni la gestione politica concreta della Capitale. Ma la resa dei conti con Veltroni, segretario investito dai milioni di voti delle primarie, non è comunque destinata ad avere tempi brevi: la partita è destinata a giocarsi di qui alle Europee del 2009. È quella la prova cui viene atteso il Pd di Walter, e sarà una prova difficile da superare. «Perché nelle elezioni europee - spiega un dirigente ds anti-Veltroni - il benefit del voto utile sparirà. E secondo i primi calcoli che si stanno facendo, gli elettori che siamo riusciti a sottrarre a Sinistra Arcobaleno, Udeur e altri pezzi di centrosinistra azzerati torneranno a casa propria. Rischiamo di perdere dai due ai quattro punti, e il Pd crollerebbe sotto il 30%». In questa ottica, sono in molti a pensare che il primo congresso del Pd, la cui data non è stata mai fissata, potrebbe essere convocato all’indomani del voto, e sancire la chiusura di una fase. Quella di Walter.
Di qui al 2009, però, ci sono molte tappe ancora da percorrere. La prima sarà la scelta dei capigruppo: l’ipotesi di congelare gli attuali (Soro e Finocchiaro), caldeggiata da Franceschini che vorrebbe mantenere il suo uomo a Montecitorio, e avallata come la più indolore da Veltroni, appare ormai tramontata. E infatti gli uomini del segretario rilanciano con un nuovo binomio, cercando di saldare l’alleanza con gli ex Ppi: Enrico Morando (vicino al leader) al Senato, e il popolare Beppe Fioroni alla Camera. Ma sarà difficile contrastare la candidatura pesante di Pierluigi Bersani, in campo alla Camera con l’appoggio dalemiano. «Montecitorio è la postazione cruciale - ha spiegato ai suoi il ministro degli Esteri - perché lì l’Udc è forte, e con loro dobbiamo costruire un asse di opposizione comune».

Un asse per puntare ad una riforma tedesca che concretizzi quello che Veltroni chiama «l’eterno schema Dc-Pci di D’Alema», un Pd spostato su una linea socialdemocratica e alleato con i centristi di Casini. Schema che spaventa l’ex Margherita, destinata all’irrilevanza, e che si contrappone a quello del «dialogo» col Pdl su una legge elettorale bipartitica perseguito da Veltroni.

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