Vogliono fare il Cln del 2010, il Comitato di liberazione nazionale da Silvio Berlusconi o, per dirla con la battuta di Enrico Mentana che conduce il dibattito alla Festa nazionale democratica di Genova, il Crn, visto che l’obiettivo è la presidenza di otto regioni. Bruno Tabacci dell’Udc, che è un precisino, le elenca anche: «Piemonte, Liguria, Marche, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria».
Il problema è che i due azionisti maggiori di questo rinnovato Cln - che sono proprio Tabacci che lo propone e Massimo D’Alema (con la Verde Grazia Francescato come ospite su cui ironizza anche l’intervistatore Mentana: «Ovviamente siete tutti qui per lei...») - iniziano a non essere d’accordo sul come, sul perchè e sul con chi. E l’unica caratteristica che emerge chiaramente dal dibattito è il «contro chi»: l’obiettivo è Berlusconi.
Ecco, sul punto, è protagonista pure la Francescato che, pur spiegando che «il problema non è Berlusconi come persona, ma il berlusconismo» e «che, per carità, io non auguro niente di male a nessuno» butta lì un riferimento agli umori mutevoli della plebe e uno «staremo a vedere che fine farà Berlusconi...».
L’obiettivo è chiaro, i metodi per raggiungerlo sono un po’ fumosi. E poco ci manca che, anche per la bravura e l’ironia di Enrico Mentana nel gestire il dibattito, i due capi del nuovo Comitato di liberazione nazionale si fucilino reciprocamente sul posto. Il primo a tirare fuori l’idea è Tabacci, durissimo e purissimo dell’Udc, uno che attaccava Berlusconi già quando era in maggioranza con lui: «La straordinarietà della situazione è tale, il tunnel che porta al modello Putin e al disegno di rendere irrilevante l’opposizione, che occorre reagire. Siamo di fronte a problemi di rilevanza democratica totale. Quindi parlo di Cln, ma occorre tenere presente che le nostre storie sono diverse...». La forza dirompente delle parole scelte da Tabacci è tale che D’Alema non si perde la battuta: «Evidentemente il riferimento al Cln non era una figura retorica, ma Bruno si riferiva proprio alla necessità di passare alla lotta armata...».
Ma, battute a parte, è sulla ciccia, sulle prospettive politiche, che i due capi del nuovo Cln sono in disaccordo. Tabacci, al solo sentire parlare di Ulivo si irrigidisce e, se solo li avesse, gli si rizzerebbero tutti i capelli: «Se mi riproponete il centrosinistra allargato all’Udc, vi dico subito che io non sono interessato a questo». Ma D’Alema proprio lì va a parare: «Ci sarà una via di mezzo fra il correre da soli e un’ammucchiata con dentro anche tre matti che votano contro la politica estera. C’è bisogno di prospettiva, di dare al Paese una possibilità di governo oltre all’attuale». La sintesi, forse, si può trovare nella scelta delle candidature per le regionali, argomento che non lascia indifferente l’Udc: «Certo - spiega Tabacci - non possono venire a dirci che gli uscenti si ricandidano comunque perchè sono uscenti. Non ci possono chiedere di aggiungerci e basta».
Di Pietro, sì o no? D’Alema è caustico: «Ho letto che ha dichiarato che lui ed io non andiamo a letto insieme. Era da tempo che non mi trovavo d’accordo con lui come oggi. Tonino è un uomo politico meridionale, io lo candidai nel Mugello e non me ne fu grato. Lui non conosce la gratitudine, per lui è il sentimento del giorno prima. E gli dico che, se la sfida con Berlusconi è sul populismo, vince Berlusconi. Ma dico anche che l’ho visto all’opera come membro di governo e, quando è messo alla stanga, tutto sommato è disciplinato».
Il resto è attacco a Vittorio Feltri e Silvio Berlusconi. Per il direttore del Giornale, Max rispolvera aggettivi dei tempi di Affittopoli: «Della vicenda Boffo colpisce la ferocia squadristica. Si è pensato di colpirne uno per educarne cento. Ma nel mondo cattolico ci sono segnali seri di insofferenza». Sul premier, invece, la precisazione: «Se avesse un’amante non ci sarebbero problemi. Ma le sue vicende personali non sono gossip. Il fatto che il premier, sia pure come “utilizzatore finale” sia connesso ad un giro di prostituzione organizzato ha a che vedere con la credibilità sua, dell’istituzione e del Paese».
Solo per uno, D’Alema ha parole ancor più forti e di carta vetrata.
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