Politica

D’Alema elogia Hezbollah «Macché terroristi È un movimento politico»

Gianni Pennacchi

da Roma

Infine - dopo tre giorni e soltanto nel discorso finale alle commissioni parlamentari - ha trovato l’ «umiltà» di riconoscere che in quella foto sottobraccio all’onorevole hezbollah, forse lo avevano incastrato: eran piovute bombe fino a tre ore prima, ha spiegato, il contesto era «estremamente complesso», e «neanche facile distinguere tra le persone che si stringevano intorno», col ministro degli Esteri libanese c’erano «alcuni deputati, non solo di Hezbollah», che facevano quadrato «anche per proteggere la mia incolumità». Ma conoscete il carattere di Massimo D’Alema, no? Difende e rivendica anche gli errori. Infatti ha concluso che dovendo fare «un bilancio tra i costi di una foto che può aver irritato o ferito qualcuno, e i benefici del messaggio di solidarietà portato alla popolazione ferita dalla guerra», si considera «soddisfatto, ben consapevole che questi sono i rischi della politica». Ma sì, lo aveva «messo in conto», ed è comunque convinto di «aver fatto bene». Così come l’aver incontrato il governo libanese al gran completo, ministri hezbollah in prima fila, è stato «utile», perché il premier Siniora «voleva testimoniare a me, e dunque all’Italia, la volontà dell’intero governo, Hezbollah compreso, di rispettare la risoluzione dell’Onu». Ragion di Stato insomma: il ministro degli Esteri garantisce che il suo operato a Beirut ha meritato «l’apprezzamento» anche di Washington.
Tutto bene dunque per D’Alema, se prima di questa sua confessione nella replica conclusiva alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato riunite congiuntamente a Montecitorio ieri mattina, non ne avesse sfornata un’altra, e di quelle clamorose, già nella relazione iniziale. Che s’è ben guardato dal ritrattare o correggere almeno sino ad ora: col risultato di allargar la frittata e le polemiche, perché il titolare della Farnesina - e regista unico della politica estera del governo dell’Unione - s’è ora impantanato in pieno campo minato. Capita, a chi insiste nell’arrampicarsi sugli specchi. Ma nella foga di convincere che è «difficile andare là», nel Libano, «e non incontrare Hezbollah», ha enunciato un principio che ha ammutolito deputati e senatori di ambo i poli: «Di quel governo libanese che la comunità internazionale vuole sostenere, può essere difficile comprendere che fa parte anche Hezbollah, che mi sembra difficile liquidare come un gruppetto terroristico, ma che è essenzialmente un partito politico che gode di un vasto consenso democratico e rappresentanza parlamentare».
Essenzialmente!? Il partito nazionalsocialista le elezioni le aveva addirittura stravinte, ma sempre ed «essenzialmente» antisemita, terrorista e per l’appunto nazista era e restava. Gianfranco Fini infatti ha lestamente provveduto a precisargli che Hezbollah «non è solo ma anche, un’organizzazione terroristica», e dispiace dover prendere atto che accanto a Siria e Iran, ora «gode anche della solidarietà del ministro degli Esteri italiano». Il leader di An che ha retto la Farnesina prima di lui, pacatamente gli ha fatto notare che è possibile non incontrare esponenti hezbollah, «basta solo volere non incontrarli», come ha fatto il ministro degli Esteri tedesco. Da Forza Italia, Sandro Bondi ha subito stigmatizzato il «cinismo opportunistico». E poichè D’Alema s’era anche «meravigliato» per le critiche suscitate dalla sua visita a Beirut e dalla sua comunanza con esponenti hezbollah, Pier Ferdinando Casini gli ha ribattuto che «non deve meravigliarsi della meraviglia», perché è ovvio che susciti «indignazione nella comunità ebraica e perplessità nelle forze politiche». Anche nell’Unione, sin nella Quercia stessa se Piero Fassino, interrogato se condivida il giudizio di D’Alema su Hezbollah, non risponde e si ferma al passato, definendo «strumentale e inaccettabile» la polemica contro il suo leader. Pure Francesco Rutelli è tutt’altro che d’accordo, se spiega che «la linea del governo tiene conto di tutte le sensibilità», però di D’Alema non vuol parlare: «Non sono andato in Libano, non posso rispondere».
Ma a prendere in castagna D’Alema sulla «democraticità» di Hezbollah e dunque sulla necessità di dialogarci, ha provveduto mirabilmente Roberto Antonione, ex governatore del Friuli, che ha ricordato quando il ministro austriaco Georg Haider, in forte odor di razzismo, veniva in vacanza nella sua regione e da Roma il premier, appunto D’Alema, lo tempestava di telefonate per isolare l’ospite ed evitare rapporti con lui. «Ora invece, scopriamo che non c’è problema a frequentare nazisti e terroristi», ha concluso Antonione.

D’Alema non gli ha risposto.

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