D’Alema: non abbiamo soldi per cancellare lo "scalone"

Il ministro degli Esteri replica a Epifani (Cgil): "Abolire la “Maroni” costa 7 miliardi". L’ira di Angeletti (Uil) e Bonanni (Cisl): poche risorse? Tagliamo gli sprechi della politica

D’Alema: non abbiamo soldi per cancellare lo "scalone"

Roma - Dice Walter Veltroni che «c’è un grande squilibrio nel sistema previdenziale» e che è «matematico» che l’età pensionabile vada alzata: «Il tempo di lavoro si deve allungare, perché l’aspettativa di vita è più lunga. Aggiunge Massimo D’Alema che «i sette miliardi per cancellare lo scalone non ci sono», e se pure ci fossero sarebbe «sbagliato» usarli per quell’obiettivo. «Non considero il tema delle pensioni di anzianità come una grande priorità - argomenta il ministro degli Esteri - anzi ci dobbiamo dire tutti che si è favorita una distorsione nel nostro sistema previdenziale». D’Alema afferma di «comprendere» le ragioni di chi «si becca quattro anni di lavoro in più», ma ritiene che non debbano prevalere: «da uomo di sinistra» vuole riordinare le priorità: «Prima i diritti di chi guadagna 300 euro, dei ragazzi che non sanno che pensione avranno, e poi quelli dei 57enni». E sembra fare eco a Veltroni, che in mattinata diceva: «Continuare a tutelare chi è tutelato e a lasciare senza tutele chi non ne ha è quanto di più lontano esista dalle idee di sinistra».
Un uno-due pesante, quello della strana coppia Walter-Massimo, che piomba in una giornata di alta tensione sulle pensioni. Tensione tra Prodi e la sinistra radicale, tra la sinistra radicale e la Cgil, tra la Cgil e il governo. E nella stessa giornata in cui il presidente della Camera Fausto Bertinotti interviene sullo stesso tema con esplicita durezza e parla di «intollerabilità sociale di un eventuale allungamento dell’età pensionabile per gli operai». Bertinotti smentisce così con nettezza quelle indiscrezioni di stampa («Fatte filtrare inopinatamente da Palazzo Chigi», accusano dal Prc) che lo davano pronto a «mediare» con il suo partito per farlo recedere dalla linea dura sull’abolizione dello scalone, linea che mette in difficoltà un Epifani ormai pronto a «calare le braghe», secondo i timori di Rifondazione. Nessuna «mediazione», fa sapere Bertinotti: «La sintonia con il gruppo dirigente del Prc è totale» e lui sostiene fino in fondo la posizione di Franco Giordano. Che respinge in toto l’ultima offerta del governo: «gradini» biennali per arrivare a 61 anni nel 2014.
Rifondazione aveva giudicato «inquietante» l’intervista di ieri di Epifani a Repubblica, con la quale il capo della Cgil dice di «non capire» lo «scavalco» a sinistra del Prc: «La Cgil firma un accordo se lo ritiene buono, qualunque sia la posizione di Rifondazione»; e scarica la Fiom, sponda del Prc in Cgil: non accetteranno un eventuale accordo sullo scalone? Pazienza: «Respinsero anche la riforma Dini». Se la Cgil, pressata da Uil e Cisl pronte a firmare, cedesse, per il Prc si aprirebbe un bel problema: «La Fiom non firma, e noi non potremmo cambiare linea. Neppure se il governo mettesse la fiducia».
L’affondo di D’Alema, però, ha provocato ieri un indurimento da parte di Epifani, che gli replica a brutto muso ricordandogli che anche lui ha sottoscritto il programma dell’Unione che chiede di abolire lo scalone («ci vorrebbe un po’ di coerenza») e che le pensioni di anzianità «non sono un privilegio. Avrei un’altra idea di privilegio: che vadano colpite le caste anche del sistema politico». Ma anche la Uil si è «irritata» assai col vicepremier: «I soldi ci sono - tuona Angeletti -. D’Alema ci dica che fine ha fatto quel miliardo di maggiori contributi versati e perché l’abolizione della scalone lo ha scritto nel programma». E se i soldi non bastassero, si trovino riducendo «lo sperpero della politica». Persino la Cisl di Bonanni, pur pronta all’accordo, attacca: «È la maggioranza ad aver fatto dello scalone un totem ideologico».
Mentre i sindacati si scontrano con D’Alema, Rifondazione spara contro Veltroni: «Sulle pensioni sbaglia e usa gli argomenti della destra», attacca Russo Spena, che lo accusa di proporre «un riformismo autoritario». Alla vigilia della settimana decisiva per la trattativa, il clima si surriscalda, le due anime della maggioranza appaiono lontanissime e il sindacato in difficoltà.

Nel mezzo, c’è un governo che ha già spiegato a Rifondazione e alla Cgil di non poter mollare su incentivi e gradoni, per «ragioni politiche prima che contabili»: per non venir sbranato il giorno dopo l’accordo dai grandi giornali, Confindustria e Unione europea. Ma che rischia così di entrare in rotta di collisione con la sinistra.

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