nostro inviato a Firenze
Mascalzone latino, una luce negli occhi di Massimo D'Alema: «Sì, davvero eccezionale. Ieri sera li ho chiamati per dirglielo...». Il povero Piero, una lacrima sul viso e un lavoro tanto precario. «Veniamo da una buona scuola, ci ha insegnato che si devono misurare le proprie ambizioni sempre in rapporto all'interesse generale, al progetto che si persegue, agli obiettivi che si vogliono mettere in campo...», ecco la tenue sfida di Piero Fassino.
Lo spirito santo di Walter, una smorfia al congresso della Margherita che vorrebbe tributargli il ruolo di trionfatore fiorentino: «No, nessun trionfo. Sono state giornate sofferte, dolorose. È sempre così quando ci sono delle separazioni, ma in questo caso è anche peggio, perché si tratta di persone, come Fabio Mussi, con le quali sei cresciuto insieme...».
Anna bell'Anna, osannata come una Ségolène nostrana e risposta dalemiana all'incantesimo veltroniano. Sa come parlare di Partito democratico, la Finocchiaro, un concentrato di seduzione volitiva. «Non voglio essere la sinistra del Pd, voglio essere io il Pd, voglio un partito attraente... Non ho paura: faremo come Temistocle che decide di andare per mare a sconfiggere l'armata persiana anziché aspettare ad Atene, dietro le spesse mura che avrebbe voluto Aristide, l'arrivo degli invasori».
Nozioni veliche che chiudono il cerchio, personaggi e interpreti di una storia che continua. Anche se deve essere scritta nei prossimi mesi. Perché ora tutti avvertono lo spaesamento che il senatore Gianni Nieddu sa esprimere mirabilmente: «Bellissimo funerale, ottimo battesimo. Ma il bambino, chi lo conosce?». E il professore Michele Salvati in logica razionale: «Ci chiedono tutti chi sarà il leader del Pd. Hanno ragione, tutti i grandi partiti hanno grandi leader e il Pd dovrà averlo presto. Se non lo facciamo all’aperto e presto, vorrà dire allora che lo faremo al chiuso, ci sarà dello sporco, si instaurerà un clima di inimicizie e sospetti, i giornalisti giustamente ci inzupperanno la penna».
Un invito a nozze, visto che «senza il rischio resta poco nella vita» (come nel Freud citato da Fassino). Considerato che il Partito non c'è più, o non c'è ancora, a seconda dei punti di vista, come rinunciare a capire come funzionerà? Saranno primarie vere o incoronazioni decise a tavolino? «A ottobre eleggeremo soltanto i delegati della nostra Costituente - risponde D'Alema al Giornale -, perché il leader c'è già: è il capo del governo». Incoronare Prodi una seconda volta no, troppo pericoloso. Già, perché le partite in gioco ora sono diverse, e se una ha come posta la leadership del Pd (e dunque della coalizione per le Politiche del 2011), l'altra conduce verso l’elezione al Quirinale del 2013. Obbiettivo che D'Alema stavolta vuol centrare. Non esistono perciò patti che tengano, con scadenze così lontane. Di sicuro non quello tra i due cavallini berlingueriani. Veltroni e D'Alema, sempre loro. All'epoca dell'unico scontro aperto, nel ’94, il «popolo dei fax» scelse Walter, il «pugno del partito» impose Massimo.
Più o meno come oggi. Se dall'abbattimento della Quercia nessuno può dirsi al riparo, loro due hanno già messo i caschetti protettivi. Entrambi hanno la necessità di essere traghettati da Prodi: Veltroni impegnato fino al 2011 come sindaco di Roma, D'Alema che dagli Esteri sta costruendo la scalata al Colle. La complicazione sta nel fatto che Prodi ha in Walter il suo delfino dichiarato, mentre le ambizioni di Massimo sono in rotta di collisione con le sue. Accetterà Prodi un buen retiro che non sia il Quirinale? Ecco perché da ieri D'Alema ha messo in campo anche l'ovazione per la Finocchiaro, una pupilla. Bastava guardare l'intrecciarsi di sguardi e tenerezze tra i due, per capire la solidarietà profonda che li lega.
Non è detto che ci sia un lieto fine, però.
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