D’Alema riscrive la storia e condanna il liberismo

L’ex presidente Ue annuncia: «Il 24 febbraio grande corteo per sostenere il mio progetto»

Giannino della Frattina

da Milano

«Viviamo in una stagione politica nella quale il dominio della cultura liberista o meglio neoliberista ha rappresentato l’ultima grande ideologia totalitaria del Novecento». Fermi tutti. Massimo D’Alema ha parlato. Non di cronaca, ma di storia. Aggiorniamo i libri di scuola. Macché Unipol, macché cooperative che scalano le banche, macché 50 milioni che ballano e «tesori» di Consorte (ex capo Unipol) e Sacchetti, macché risse nel centrosinistra su listoni unici e partito democratico. In una gelida giornata milanese il presidente dei Ds punta il dito contro il vero male assoluto, il liberismo. «Ma questa stagione ideologica è finita», rassicura immediatamente i suoi fedelissimi accorsi a seguire un interminabile seminario. «Più Europa sociale per fare l’Europa», il titolo con ripetizione dell’incontro organizzato dai Ds.
Per uscirne la ricetta è già pronta («Ormai ho il passo da seminario», sorride sotto il baffo giustificando il fatto di non occuparsi di vicende un po’ più spinose). «C’è un clima nuovo nell’opinione pubblica - nota D’Alema -. La percezione forte che la caduta di un sistema di protezione sociale accresca i rischi e indebolisca i cittadini. E che uno Stato debole è un problema anche per la competitività e per le imprese». Pausa retorica prima di regalare un’altra visione apocalittica. «Impegniamoci nei prossimi ottanta giorni per liberare il Paese da questo incubo che lo ha ammorbato negli ultimi cinque anni. Perché vi è oggi in Italia una certa degenerazione politica. In cauda venenum - si lascia andare al latinismo -, nelle ultime settimane la disperazione ha spinto ad avvelenare i pozzi, a bruciare i raccolti. Non lasciamoci trascinare in questa rissa. Noi dobbiamo mantenere la calma».
E allora meglio far finta di niente. «Berlusconi è la persona meno adatta a chiedere chiarimenti, semmai li deve fornire» è sufficiente dribblare i giornalisti proteggendosi alla fine anche con la scorta. Ma, visto che si parla d’Europa, impossibile ignorare processi che vanno ben oltre il confine delle Alpi. E, anche per questo, ci sono una spiegazione e una bandiera da sventolare ben nota al centrosinistra, la pace che è meglio della guerra. «La crisi dell’Europa - sostiene il presidente ds -, è nata dal fatto che durante la guerra in Irak c’era un’opinione pubblica contraria, ma l’Unione Europea non ha avuto nessun peso. La stessa Unione non ha garantito crescita e lavoro. Gli europei si sono quindi chiesti: “a cosa serve l’Europa?”. L’interrogativo esiste e noi dobbiamo dare una risposta». Pronta, questa sì, nelle cartelle diligentemente seguite nel discorso dal palchetto. «All’Europa si risponde con più Europa, alla globalizzazione con più globalizzazione.

Ma il rinnovamento produttivo non lo si induce solo affidandosi al mercato, occorrono anche politiche pubbliche, politiche di sviluppo che puntino su qualità e innovazione». Sull’Europa è tutto chiaro. Almeno a parole. Su Unipol molto meno.

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