Politica

È D’Alema il vero nemico di Prodi

C’è effervescenza tra i ds: Walter Veltroni straborda. Vabbè che deve promuovere il suo implacabile libro, ma non si contiene: si propone come premier ma solo se si farà il partito democratico, altrimenti farà volontariato. Antonio Bassolino interviene autorevolmente e spiazza girotondini e Romano Prodi. Vannino Chiti, invece, si scopre girotondino e tira fuori da un cassetto gli Stefano Passigli e i Franco Bassanini. Più sornione, lancia segnali Sergio Chiamparino. Pierluigi Bersani, in crescita, è uno dei pochi a esternare con parsimonia. Da dove viene tutto questo risveglio? C'è il governo Prodi, che un po' ne centra in politica estera, ma per il resto è una marmellata. C'è il futuro del partito democratico che non si sa bene a che cosa sia appeso. Ci sono le feste dell'Unità nelle quali qualcosa si deve pur dire. Tra l'altro si conferma un'analisi fatta qualche tempo fa: i ds sono ormai un partito sostanzialmente «federale» in cui contano i vari «cacicchi». La vecchia nomenklatura più tradizionalmente di partito (la mitica direzione o la strategica segreteria) è ridotta a funzioni quasi da passacarte. Tutto ciò giustifica in parte l'effervescenza delle dichiarazioni di questi giorni. Solo in parte, però.
Ma al di là di queste considerazioni, l'improvvisa effervescenza di oggi ha qualcosa di anomalo. Che a mio avviso può essere spiegato ragionando su due fenomeni. Da una parte si sta consumando definitivamente la leadership di Piero Fassino. Il segretario ds si agita ancora in modo ossessivo, grazie ai suoi uomini di collegamento con i media, riesce sempre ad avere una presenza esorbitante (paginate e paginate, interviste su interviste) ma non si ricorda un'idea, una presa di posizione fassiniana di questi tempi che abbia lasciato un segno. Dice qualcosa e tutti, poi, chiedono ai Bersani, D'Alema, Visco, Chiamparino, se è veramente quella la posizione dei ds. L'altro fenomeno, che spaventa particolarmente i «cacicchi», è la resurrezione di Massimo D'Alema: sbatacchiato dal caso Unipol, svillaneggiato per la presidenza della Camera, triturato nella corsa al Quirinale, il presidente ds veniva considerato un «caso chiuso». Un notabile che non avrebbe più intralciato i processi di distribuzione del potere sotto Quercia e Ulivo.
Ma, ahimè! Il cadavere non si è lasciato sotterrare e con cipiglio considerevole acquisendo ruolo internazionale, ne ha ripreso anche in Italia. Quelli che lo volevano seppellire, a cominciare da Paolo Mieli e Francesco Rutelli, oggi sono messi peggio di lui. E siccome buon sangue non mente (e neanche quello cattivo) il titolare della Farnesina è tornato a fare l'arrogante a 180 gradi. Quelli che hanno più paura del suo ritorno sono naturalmente i suoi. In testa Veltroni che è sempre uscito ammaccato da scontri diretti con D'Alema. Per proseguire con Chiti che della sua Toscana aveva fatto un bastione antidalemiano. Bassolino, che con il ministro degli Esteri, non ha mai avuto rapporti facili (tranne piccole parentesi) si preoccupa soprattutto di riprendere una sua autonomia di manovra. Diverso il discorso su Chiamparino, benedicendo l'accordo tra San Paolo e Intesa, il sindaco di Torino è diventato il lord protettore del Nord ulivista e può amministrare la sua influenza senza particolari urgenze.
Bersani, dalla sua, sempre più forte nella strategica Emilia (ancora centro del potere ds) gioca di sponda con D'Alema.

Che cosa deriverà dai processi politici descritti? Alla fine anche i nuovi sommovimenti interdiessini, senza chiare mete e con troppi protagonismi, non aiuteranno il governo Prodi a reggere a lungo.

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