D’Alema vuole il dossier con i suoi segreti

Il presidente del Copasir ha chiesto al sottosegretario Letta i documenti riservati dell’inchiesta dei servizi sul caso Telecom-Pirelli e sul misterioso fondo "«Oak fund". Ma in quella vicenda erano coinvolti proprio Baffino e i Ds. La risposta: "Richiesta non coerente"

D’Alema vuole il dossier con i suoi segreti

di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica

La lettera porta la data del 5 ottobre, ed è indirizzata a Gian­ni Letta. A scriverla è il presi­dente del Copasir, Massimo D’Alema.Che domanda al sot­tose­gretario con delega ai Servi­zi di voler «trasmettere con cor­tese sollecitudine » alcuni docu­menti riservati. Si tratta del «testo integrale», spiega D’Alema nella missi­va, «delle relazioni conclusi­ve » di due inchieste interne alla nostra intelligence . Una relativa alla denuncia presen­tata da Italo Bocchino, che ri­teneva di essere pedinato da uomini dei servizi. L’altra, mette nero su bianco l’ex mi­nistro degli Esteri, riguarda «il coinvolgimento di perso­nale dell’Aise nel processo Telecom-Pirelli». La richie­sta - deliberata all’unanimità dal Copasir la settimana pre­cedente - suona però curio­sa. Perché la vicenda «Tele­com- Pirelli», e in particolare il coinvolgimento di barbe finte, riguarda molto da vici­no proprio una questione nel­la quale D’Alema e il disciol­to partito del quale «Baffino» era presidente erano, loro malgrado, coinvolti. Ossia il dossier «Oak fund». La storia è nota. Il dossier voluto dal capo della security di Pirelli e poi di Telecom, Giuliano Tavaroli, e redatto dall’investigatore privato Emanuele Cipriani, per sco­prire i nomi dietro l’«Oak fund» (che in italiano vuol di­re «fondo quercia»), che con­trollava una quota della fi­nanziaria lussemburghese Bell. Quest’ultima possede­va la quota di controllo di Oli­vetti, che all’epoca (luglio 2001) controllava il 54 per cento della Telecom. E il dos­sier venne realizzato in quel periodo, quando Pirelli stava per dare la scalata al colosso italiano delle telecomunica­zioni. Tavaroli ai magistrati spiega che si voleva capire chi fossero gli azionisti dell’« Oak fund», nel timore che vi fosse qualcuno del manage­m­ent Telecom che volesse lu­crare sull’operazione. E, mi­se a verbale Tavaroli, quando venne fuori che i nomi erano invece quelli di «esponenti di un partito dell’attuale mag­gioranza »arriva l’ordine a Ci­priani di fermarsi lì. Tutto fini­to? Macché. Quando il boss della sicurezza di Telecom esce dal processo, patteggian­do 4 anni e mezzo, il suo rac­conto cambia non poco. Ta­varoli, a Repubblica , indica in Tronchetti Provera l’auto­re dell’input che ha dato vita al dossier. E, soprattutto, cambia il movente: Tronchet­ti, spiega Tavaroli, avrebbe ordinato quel dossier sui Ds proprio per cercare eventua­li tangenti nell’acquisizione di Telecom da parte di Cola­ninno. Tavaroli aggiunge al­tri dettagli, tra cui la presunta esistenza di depositi di soldi all’estero,finiti dopo un caro­sello di società nel conto lon­dinese dell’«Oak fund» «cui erano interessati i fratelli Ma­gnoni e dove avevano la fir­ma Nicola Rossi e Piero Fassi­no » (dichiarazioni che solle­varono una raffica di smenti­te e di annunci di querele). Nomi che Tavaroli spiega al quotidiano di aver fatto in­vano ai magistrati che gli avrebbero risposto: «Non scriviamo i nomi nel verbale, diciamo “esponenti politi­ci” ». Una versione, quella del­la ricerca mirata dei Ds dietro al «fondo quercia», concor­dante con quanto dichiarato ai magistrati il 28 marzo 2007 dall’autore del dossier, Ci­priani: «Tavaroli mi invitò a svolgere investigazioni sul­l’Oak fund dicendo che avrei dovuto verificare se dietro c’era un partito politico».Pro­prio in quell’interrogatorio, Cipriani, di fronte ai docu­menti che gli inquirenti gli mostrano, mette a verbale che non trova «un documen­to che indicava un noto sog­getto politico», che identifica proprio in D’Alema.E ancora Cipriani aggiunge di aver par­lato degli esiti delle sue inda­gini sia a Tavaroli che a Mar­co Mancini, lo 007 all’epoca numero uno del controspio­naggio del Sismi, considera­to dai magistrati «stabile col­laboratore » di Cipriani e Ta­varoli. Proprio Mancini rap­presenta il «coinvolgimento di personale dell’Aise nel pro­cesso Telecom-Pirelli» a cui D’Alema fa riferimento. Ma se la storia è già conosciuta, appare curioso che sia pro­prio D’Alema, nella sua quali­tà di presidente del Copasir, a firmare la richiesta a Letta per ottenere il «testo integra­le » dell’inchiesta interna su quell’ affaire che, in un modo o nell’altro, ha visto emerge­re anche il suo nome. Ma la «sollecitudine» cal­deggiata da «Baffino» non è servita a far arrivare le carte al Comitato parlamentare di controllo sui servizi: pochi giorni fa, il 4 novembre, Gian­ni Letta ha risposto picche a quella richiesta. Spiegando che il Copasir ha già ottenu­to, sia per la questione Tele­com- Pirelli che per la denun­cia di Bocchino, «sintesi del lavoro svolto e dei relativi esi­ti ». Scelta dettata dal bisogno di tutelare «gli aspetti di se­gretezza » e gli « interna corpo­ris » dei servizi interessati. L’invio di«copia delle relazio­ni conclusive», spiega Letta a D’Alema, non avverrà: la ri­chiesta è «non coerente con il quadro ordinamentale vigen­te ».

Il numero uno del Copa­sir si rassegnerà o vorrà insi­stere? Una strada c’è, è Letta a indicarla nella lettera: il Co­pasir può con voto unanime disporre indagini sulla «ri­spondenza dei comporta­menti di appartenenti ai ser­vizi ai compiti istituzionali previsti dalla legge». In que­sto caso il segreto di Stato non può essere opposto. Che farà Baffino?

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