Politica

D’Avanzo, l’uomo che accusa sempre gli innocenti

Solo in questo Paese uno come Giuseppe D'Avanzo può ancora fare domande anziché inginocchiarsi e chiedere scusa, solo da noi uno come il suo sodale Attilio Bolzoni può vincere il premio «È giornalismo 2008» anziché fare lo stesso, sì, proprio così, inginocchiarsi e ammettere: ho scritto cazzate, riprendetevi il premio.
Oh no, Berlusconi non c'entra, cioè non ancora, a meno di voler già chiedere a D'Avanzo che titolo abbia per chiedere anche solo, a un premier, se avrebbe cortesemente da accendere. Massì che ha già capito: sto parlando del delitto Rostagno, quello che in questi giorni si è scoperto essere delitto di mafia con tanto di esecutori già sotto processo, quello del quale lui scrisse e riscrisse assieme ad Attilio Bolzoni a margine di quell'inchiesta tutta sbagliata condotta da chi? Ma allora ci siamo proprio tutti: dal pm Antonio Ingroia, l'amicone di Travaglio, quello che in questi giorni sta ri-ri-ri-facendo la centesima inchiesta per dimostrare che nel 1992 ci fu una trattativa tra Stato & mafia con annessa e fisiologica nascita di Forza Italia.
Ma non divaghiamo, torniamo a Mauro Rostagno, anzi, torniamo alla testimonianza di Francesco Cardella resa nota ieri da Toni Capuozzo sul Foglio. Perché è Cardella quello che è stato sputtanato su giornali e televisioni di mezzo mondo senza che nessuno, a parte Il Velino, ora chiedesse espressamente: «Chi chiederà scusa a Cardella?». Ed è Cardella che fu accusato di assassinio assieme alla sua donna, Chicca Roveri, a lungo in carcere, con in più la terribile aggravante d'essere stato amico di Bettino Craxi. E sono stati Giuseppe D'Avanzo e Attilio Bolzoni i campioni a sostegno di quella tesi che a un certo punto crollò pure, oltretutto, ed era già crollata quando nel 1996 la strana coppia scrisse per la berlusconiana Mondadori il libro «Rostagno: un delitto tra amici» dove tuttavia quella tesi riproposero identica: che un innocente era colpevole, anzi, era l'assassinio del suo amico. Bel periodo, eh? La coppia Bolzoni & D'Avanzo aveva appena pubblicato anche «La giustizia è cosa nostra» per la stessa Mondadori del Cavaliere, un bel tomo tutto nero come la toga del giudice Corrado Carnevale che veniva impiccato alle accuse d'aver favorito Cosa Nostra: poi ne è uscito scagionato anche lui, ma che c'entra, come direbbe Bolzoni: è giornalismo.
Ma che noia, questa cosa l'abbiamo già scritta ieri, al pari di quell'altra che nel 1989 vide D'Avanzo definire «frollato» e «piccolo uomo sbriciolato dall'invidia e dalla gelosia» quell'Alberto Di Pisa che secondo lui e la vulgata corrente era «il corvo», colui che voleva mascariare l'Antimafia siciliana: e invece non lo era, tu guarda, era innocente anche lui. Dopodiché abbiamo esaurito le cartucce, accidenti, ci sarebbero soltanto da rispolverare le meraviglie sociologiche scritte da D'Avanzo a proposito della strage di Castelvolturno, ricordate? Quel terribile eccidio che il 18 settembre scorso vide trucidati sei immigrati africani e un italiano in piena zona gomorra. Acciderba, qui ci vuole Beppe-D'Avanzo: e si auto-inviò sul luogo per un memorabile reportage dove ne avesse scritta una giusta, dico una. Prima prefigurò una probabile matrice non criminale e possibilmente razzista dietro al fatto che gli ammazzati «alla cieca» non fossero nigeriani bensì «sei ghanesi innocenti», salvo scoprire che i ghanesi erano tre e poi c'erano due liberiani, un togolese e soprattutto un camorrista dei Casalesi. Poi accreditò la tesi dei «neri che chiedono più Stato», tutti rigorosamente «innocenti», e per accreditarsi tirò in ballo strumentalmente anche Saviano, citandolo laddove scrisse che un tempo da quelle parti la gente «non era crudele con gli africani... bianchi e neri lavoravano assieme...». Il tutto per arrivare a dire, attenzione, allacciate le cinture, che «Quel che accade lungo la costa domizia è una vendetta della realtà contro le semplificazioni del format di governo che non descrive nulla della società contemporanea», respiro; «È la rivincita del mondo reale sul posticcio affresco italiano diffuso da ministri, a quanto pare, popolarissimi», altro respiro prima di una, attenzione, domanda di Giuseppe D'Avanzo, eccola: «E allora perché meravigliarsi se i Casalesi, una banda di assassini che controlla gli affari di droga e utilizza nelle sue imprese il lavoro nero, possono pensare di fare una strage di neri solo per ammazzarne uno?».
Sapete chi gli ha risposto? Saviano. È anche su YouTube. L'ha spiegato lui che la mafia nigeriana è ancora più cruenta della camorra e tratta ragazzine 12enni vendute come schiave o costrette a prostituirsi, è lui a dire che il traffico abnorme di droga che giunge puntualmente dalla Nigeria ha spinto i nigeriani a smetterla di dar quote alla camorra, e che proprio questo è alla base della strage di Castelvolturno.

Domande da fare? Non più di dieci, grazie.

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