C on un viso da barone baltico e occhi di ghiaccio, il sottosegretario all'Interno, Antonio D'Alì, è l'immagine gelida della suprema autorità di polizia. L'espressione è impenetrabile, l'abito grigio senza una piega. Una barba corta, ma vasta, che fa tutt'uno coi capelli, gli dà una definitiva impronta da romanzo russo. Questo è il senatore di Fi fermo sulla soglia del suo studio al Viminale.
Ma per fortuna D'Alì è siciliano e appena si muove si vede. Viene incontro con vivacità, dà una generosa stritolata alla mano del cronista e, sistemandolo nel salottino, insiste perché prenda da un vassoietto d'argento almeno uno dei confetti specialità di Trapani, sua città natale.
«Lei è banchiere di professione. Che ci fa al Viminale?», chiedo sedendogli di fronte.
«Berlusconi mi ha affidato l'incarico e non ho potuto rifiutare. Un atto di fiducia che lusinga e spinge a rispondere alle aspettative», dice dondolando gli occhiali tenuti per la stanghetta.
«La Banca Sicula di cui era presidente, è la banca di famiglia», sottolineo.
«Fondata dai D'Alì nel 1883. Espressione dell'imprenditoria trapanese di cui la mia famiglia è parte principale», dice con gravità.
«Il suo hobby è l'antiquariato».
«Accanto a studi storici legati alla Sicilia, mi occupo di tradizioni artistiche trapanesi. Dalla lavorazione del corallo, alle altre produzioni provenienti dal mare», dice. Poggia gli occhiali sul tavolino e incrocia definitivamente le mani sul grembo. Siciliano poco gesticolante, poco siciliano di faccia, D'Alì è un siciliano sui generis.
«È chiaro che i D'Alì di Trapani sono ricchi e rispettati. Il che, in Sicilia, ha un doppio senso», alludo.
«I D'Alì hanno un ruolo importante nell'economia della Sicilia occidentale. Oggi, la Banca Sicula è conglobata in Banca Intesa e la nostra maggiore attività è nelle saline», dice.
«Produce sale?»
«L'80 per cento del sale di Trapani, tra i migliori del mondo. Sale marino, non sale minerale».
«Che differenza c'è?».
«Il sale marino è sale fresco. Tratto direttamente dal mare, è molto più solubile e ne basta poco sulle pietanze. Se si usa invece quello delle miniere di salgemma, vecchio di millenni, per avere lo stesso effetto bisogna metterne di più, con rischi per la salute», spiega il sottosegretario il cui azzurro degli occhi ha un’inquietante corrispondenza col blu damascato delle pareti sormontate da fregi floreali.
«Nichi Vendola, commissario dell'Antimafia, ipotizzò che la Banca Sicula riciclasse denaro di mafia», lascio cadere.
«La Banca Sicula è stata sottoposta a regolari ispezioni di Bankitalia e nulla di ciò è risultato. Le ipotesi tornano in capo a chi le fa», dice D'Alì allargando le braccia con l'aria di chi è rassegnato alle malignità altrui.
«Quando fu nominato al Viminale, un giornale di sinistra chiosò: "Da oggi D'Alì, un tempo oggetto di indagini di polizia, alla polizia darà ordini"».
«Mai avuto avvisi giudiziari. Se poi la polizia mi ha indagato, non è emerso nulla. Inoltre, il mio stile non è dare ordini, ma discutere e decidere nell'interesse pubblico», dice calmo.
«Dura fare politica in Sicilia!», constato.
«Ci portiamo appresso pregiudizi ingenerosi, anche se non mancano le illegalità che li alimentano. Ma le esagerazioni fanno il gioco della mafia. Per dare un futuro alla Sicilia, bisogna lavorare sulla sua immagine. È quello che faccio».
«Che ha fatto?».
«Ho portato a Trapani, nello scorso settembre, la preregata dell'America's cup. Era la prima volta che metteva piede in Italia. L'immagine di Trapani è arrivata in 22 Paesi», dice e si gonfia, letteralmente, di orgoglio.
«Un successo?».
«Abbiamo avuto 750mila visitatori. Ho visto i siciliani avere fiducia in se stessi per avere saputo fare una cosa che non credevano. Per me, un modello di sviluppo per la Sicilia, un rilancio di immagine, un'attività pulita».
«Una volta tanto».
«In Sicilia ci sono forze politiche e giornalistiche che vivono per denigrare. Tempo fa, dalle parti di Trapani si girava un film con Brad Pitt. Leggo sul Giornale di Sicilia: "Tentativo di estorsione alla troupe". Un falso. Un collegamento indebito tra un'estorsione vera e la troupe. Un'invenzione per fare colore, ma che per la notorietà dei personaggi ha fatto il giro del mondo. Con l'ineffabile Sposini del Tg5, la cosiddetta tv di Berlusconi, che parlava di Brad Pitt come di Brad Pizz», dice D'Alì fremente. L'arrivo di un caffè e il suo lento centellinamento lo distende.
È in Fi dalla fondazione. Reclutato da Miccichè?
«Venne nel '93 per chiedermi nomi per la nascente Fi. Eravamo preoccupati per la piega che la politica stava prendendo con Occhetto e la gioiosa macchina da guerra. Vidi subito che il partito era in linea col mio pensiero liberale».
Cos'era prima di aderire a Fi?
«Votavo Dc o Pli. Un mio fratello era già impegnato nel Msi, poi An. Mio papà è stato consigliere comunale Pli».
Com'è che il Cav tollera la sua barba?
«Non la tollera. Un mese fa era con noi in Sicilia e, dopo un riposino pomeridiano, ci ha detto: "Sapete che ho sognato? Tonino senza barba"».
Ma lei resiste.
«Certo. Senza barba sono brutto. Lo sono anche così, ma divento peggio».
Che tipo è Pisanu, il suo ministro?
«Un politico di spessore, prudente e determinato. Adattissimo al suo ruolo».
Lei si occupa di enti locali. Le piace la riforma federalista?
«La immaginavo diversa. Bisognava rivoltare l'Italia. Invece di fare 20 parlamenti regionali, avrei accorpato le Regioni in vasti territori omogenei. Tipo: Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud, Isole. Abbiamo mancato di coraggio e perduto un'occasione».
Ha anche la delega per la legge elettorale. Col proporzionale senza voti di preferenza, i singoli candidati se ne impipano di impegnarsi.
«Ci si concentra di più sul programma dei partiti, che è quel che conta per il Paese. Forse è un sistema troppo evoluto per la nostra realtà, ma bisogna anticipare il futuro».
Niente quote rosa.
«Il ministero era contrario. L'obbligo di inserire una donna tra i primi quattro candidati, toglie libertà all'elettore. Né garantisce alla candidata donna automatica elezione, almeno nei partiti minori che mai riusciranno a prendere quattro seggi in una circoscrizione».
Pannella ha protestato, a rischio della vita, contro gli ostacoli messi alla presentazione della sua lista. Ma voi, sordi.
«C'è una legge che obbliga la raccolta di firme per presentare una nuova lista. La sua come altre. Si criticano leggi ad personam, ma se ne pretendeva una per lui. La verità è che con lo sciopero della sete, Pannella voleva pubblicità per la Rosa in pugno. Ci è riuscito. È un comunicatore eccezionale».
Il Cav si mostra ottimista per le elezioni. Condivide?
«Sì, sulla base della nostra sconfitta alle regionali 2004. Siamo stati battuti nelle grandi città, ma abbiamo vinto in provincia, Piemonte, Liguria, Lombardia, Lazio, Puglia. Ci si è ritorto solo il disagio metropolitano, tra euro, scioperi e disordini ad arte».
Perché un elettore deluso dovrebbe votare ancora Cdl?
«Almeno quattro ragioni: stabilità di governo; abbiamo portato a termine vere riforme; l'economia ha tenuto meglio che in Germania e Francia, in un contesto difficile; l'occupazione è aumentata. Dopo decenni, la percentuale di disoccupazione è scesa a un numero a una cifra. Nel Sud è diminuita di sette punti».
Il Cav ha fatto il suo tempo?
«Nooo. Le sue straordinarie capacità hanno ancora molto da dare al Paese. Se dovesse pensare di andarsene, sarebbe un disastro. Per lavorare troppo, non era andato in giro. Ma negli ultimi 15 giorni, ha mostrato la sua eccezionale personalità. Se ne parla nei bar, più del calcio».
Cuffaro è stato ricandidato dalla Cdl alla presidenza della Sicilia. Non era meglio Prestigiacomo su cui non pesa l'accusa di mafiosità?
«Cuffaro rappresenta la continuazione di un programma che ha funzionato. Ha fatto molte cose buone per la Sicilia. Se poi si voleva pensare a un'alternativa, vedevo bene Ciccio Musotto».
Anche l'ex procuratore di Palermo, Grasso, ha sconsigliato l'inquisito.
«È la legge che stabilisce chi può essere candidato. Cuffaro non rientrava nelle esclusioni».
Ci sono ragioni di opportunità politica.
«Ma le stabiliscono gli elettori. Sarebbe pericoloso, in una democrazia basata sulla separazione dei poteri, che un potere possa scegliere per conto di un altro. Come la magistratura vuole essere autonoma, altrettanto pretende la politica. La quale, contrariamente alla magistratura, trova costante verifica nel giudizio degli elettori».
La Sicilia continua a straziarsi tra mafia e antimafia e rispunta perfino Leoluca Orlando.
«Ognuno ha diritto a un posticino al sole, anche Orlando».
Una domanda «filosofica» al sottosegretario all'Interno: chi genera più illegalità in Italia, destra o sinistra?
«Le turbative dell'ordine pubblico vengono dalle proteste della sinistra.
Se Prodi vince che si aspetta di buono da lui?
«Nulla. Tre volte nulla».
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