Stefano Zurlo
da Milano
Il passato resti sepolto sotto terra. Sergio DElia, fresco deputato della Rosa del Pugno e segretario daula a Montecitorio, non accetta di essere giudicato con il metro della memoria. E respinge al mittente le critiche durissime di chi ha letto il suo curriculum e ne è rimasto sconcertato, perché la storia del parlamentare radicale è un tuffo negli anni di piombo e riapre ferite mai cicatrizzate: DElia fu dirigente di Prima Linea e venne condannato a 25 anni per luccisione dellagente Fausto Dionisi, ammazzato il 20 gennaio 1978 a Firenze nel corso di un blitz terroristico al carcere delle Murate. Quellepisodio riemerge ora che DElia diventa un rappresentante del popolo. Lui non mostra affatto imbarazzo: «Quel che non accetto è di rimanere ostaggio perpetuo della memoria, del mio passato e di ciò che ho compiuto trentanni fa». Mariella Dionisi, vedova dellagente morto alle Murate, la pensa diversamente: «Lelezione di DElia mi annichilisce e mi umilia. Una sola cosa è vera: i signori terroristi hanno tutto, i nostri morti niente. Il fine pena vale solo per i nostri morti, mai per loro».
DElia rimane in carcere dodici anni, si dissocia dalla lotta armata, nel 91 viene liberato. E comincia una seconda vita: milita nel partito radicale fino a diventarne cosegretario, fonda nel 94 lassociazione Nessuno tocchi Caino, per labolizione della pena di morte, si lega sentimentalmente alla scrittrice Maria Teresa Di Lascia, morta di tumore a solo 40 anni nel 94 e vincitrice lanno dopo del premio Strega con il romanzo postumo Passaggio in ombra. Ora il salto in Parlamento: la sua biografia accidentata si trasforma in un caso pubblico.
Lui non si lascia sfiorare dal dubbio: il presente vince sul passato. «Se qualcuno - scrive DElia in una lettera inviata a Fausto Bertinotti e ai colleghi della Camera - ancora oggi, dopo trentanni, vuole cristallizzare la mia vita nellatto criminale di allora (che non ho materialmente commesso) e non tener conto della semplice verità che luomo della pena può diventare un uomo diverso da quello del delitto, rischia di non cogliere il senso profondo della giustizia, del carcere e della pena descritto dalla Costituzione». Insomma, i conti col passato sarebbero stati regolati: «Ho pagato con 12 anni di carcere il conto che lo Stato e la legge italiana mi hanno presentato. E nel 2000 sono stato completamente riabilitato con sentenza del tribunale di Roma».
Mariella Dionisi gli risponde per le rime in unintervista a Libero: «In teoria dovrebbe rappresentare anche me e i familiari delle vittime del terrorismo. Sinceramente non mi sento rappresentata». E lex ministro Carlo Giovanardi apre un altro fronte polemico. Questa volta a dividere è il giudizio contenuto in un passaggio della missiva di DElia ai deputati: «Sono stato condannato in base a uno dei postulati della dottrina emergenzialista dellepoca, per cui il responsabile di unorganizzazione terroristica andava considerato responsabile dei crimini commessi nel territorio in cui operava.
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