D’Elia prega Bornacin di salvare il rais

Da «Nessuno tocchi Caino» a «Nessuno tocchi Saddam»: la coerenza, dice lui, è la stessa. E per questo, sempre lui fa appello ai parlamentari perché venga salvato il sanguinario ex rais dell’Irak. Lui è Sergio D'Elia, 54 anni, deputato della Rosa nel pugno e segretario alla presidenza della Camera, un tempo pezzo da novanta di Prima linea, condannato in primo grado a trent’anni di carcere, poi ridotti in appello a venticinque, infine dimezzati con l’applicazione della legge sulla dissociazione dal terrorismo e altri benefici di legge. Ma è da segretario dell’associazione impegnata a lottare contro la pena di morte nel mondo - «Nessuno tocchi Caino», appunto - che D’Elia ha condotto e tuttora conduce una assidua battaglia contro i governi che applicano l’esecuzione capitale. Solo che questa battaglia, spesso se non sempre, si dimostra più intransigente a seconda di chi manda a morte i reprobi. Sono una cinquantina i Paesi che mantengono ancora in vigore la pena capitale: da Cuba all’Iran, dalla Corea del nord al territorio della Palestina in mano all’Anp, dalla Libia alla Repubblica cosiddetta democratica del Congo, dalla Siria al Sudan, dalla Cina al Vietnam. Eppure, D’Elia e suoi sodali si sentono adesso irresistibilmente attratti dall’attenzione (e dalla preoccupazione) per la sorte dell’ex rais, che il tribunale iracheno sta per giudicare in relazione a qualche decina di migliaia di vittime che, quand’era al potere, ha mandato a morire. Censura, dunque, al governo iracheno, con l’intento neanche troppo nascosto di parlare alla nuora perché suocera intenda (dove la nuora è l’Irak, e la suocera, neanche a dirlo, è l’America di Bush).
«Nessuno tocchi Caino» si è quindi mobilitata in forze, non lasciando nulla d’intentato per imporre la propria crociata per la salvezza di Saddam Hussein. Al punto da non trascurare nessun contatto: la lettera-petizione - primo firmatario il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, seguito fra gli altri dal diessino di sinistra Cesare Salvi, dal radicale Daniele Capezzone, dal Verde Marco Boato e dall’immancabile Furio Colombo vedovo Agnelli - è stata indirizzata a tutti i deputati e senatori. Compresi quelli che non se la sarebbero mai aspettata: il senatore di Alleanza nazionale Giorgio Bornacin, ad esempio, che è rimasto letteralmente esterrefatto quando ha ricevuto l’invito a darsi da fare al più presto per l’incolumità di un personaggio che, a giudizio unanime, a Caino avrebbe potuto senza dubbio insegnare qualcosa.

Se il personaggio biblico ha sulla coscienza l’uccisione del fratello, quanti sono i «fratelli» iracheni, compreso il genero, dell’ex rais mandati a morte per non aver rispettato le direttive del capo? Nonostante tutto, insiste D’Elia, «Nessuno tocchi Saddam». Magari, meglio se lo liberano: un nemico in più dell’America in circolazione non solo non guasta, ma per certi laici è un’autentica benedizione.

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