Chi ha sempre pensato che la musica cosiddetta popular, ovvero pop, nota anche come popular  music sia vuota di contenuti e non abbia la stessa dignità di altri generi dovrà iniziare a  ricredersi.
 Se infatti la popular music non è ancora interamente classificabile come musica colta, sezione  che appartiene di diritto alla classica e alla lirica, certamente essa è connessa, forse anche  molto più delle sue sorelle maggiori, al tessuto sociale in cui è nata e nel quale prospera da  anni e decenni. E questo spiega anche come molti dei suoi pezzi pregiati siano tuttora  ricordati, ascoltati e acquistati con la stessa sacralità - se non in qualche caso addirittura  ancora maggiore - rispetto agli altri generi. E se alla popular music e alla sua storia ed  evoluzione sono stati dedicati, negli anni recenti, importanti manuali che ne tratteggiano il  cammino, ora esce in libreria un volume interessante che racconta la musica degli ultimi  decenni, calandola profondamente nelle città e nelle culture che hanno contribuito a generarla.
 «Dai beat alla generazione dell'Ipod» (Carocci, pp.205, 19 euro) è un ottimo libro, opera di  Lucio Spaziante, docente di Semiotica all'università di Ferrara e di Analisi dei linguaggi  musicali giovanili oltre a Semiotica dei media all'ateneo di Bologna. Già il titolo fissa i  limiti cronologici all'interno dei quali si muove: l'ultimo mezzo secolo, anno più, anno meno. Dalla fine degli anni Cinquanta a questo primo decennio del terzo millennio sono trascorsi poco  più di cinquant'anni, nel corso dei quali la musica è cambiata profondamente, non tanto e non  solo nelle sue sonorità, ma soprattutto nel modo di essere pensata e realizzata tecnicamente. Differenza, quest'ultima, tutt'altro che superficiale. E affatto aleatoria.
 Due versanti dunque tanto diversi ma altrettanto importanti per caratterizzare i fenomeni  musicali che ci hanno accompagnato. Strumenti differenti, produzione diversa di suoni e  musicalità hanno segnato il passaggio da cantanti singoli a complessi con un ridotto numero di  componenti e relativi compiti per poi approdare a più complesse formazioni alle prese con  partiture generalmente più ambiziose che si sono poi ridotte nuovamente a cavallo del Duemila. Blues, ma soprattutto rythm 'n blues, reggae, jazz e rock si sono viste sorprendentemente fuse  in un genere popular con pretese di cultura alta e sopraffina, il rock progressivo, che  racchiudeva al proprio interno apporti musicali provenienti dai generi più diversi. Dai Procol  Harum ai Genesis, passando attraverso i Pink Floyd, gli Yes, i Jethro Tull, Van der Graaf  Generator, King Crimson, Renaissance, Emerson Lake and Palmer solo per fare alcuni esempi. Tracce classiche (Bach, Mussorgski, Albinoni), riferimenti etnici a culti locali, atmosfere  fantastiche quanto fantasiose, ambizioni di dare vita a composizioni che avessero la pretesa di  essere un'opera d'arte: il concept album. Linee di un'evoluzione che si sarebbe poi stemperata  in filiazioni diversissime, il punk, l'heavy metal, il rap.
 E diversi anche i modi con cui quella musica veniva generata. Inserita in un profondo contesto  sociale, essa traeva i propri presupposti e la propria ragion d'essere in ambiti determinanti  per poter nascere e prosperare. Si pensi alla canzone politica o di protesta, si pensi alla new  wave, si pensi infine all'hip hop. Tre maniere diversissime, quasi opposte, di cantare e far  cantare. Di ascoltare musica. Di farsi coccolare dalle note. E generi antitetici anche per i  volti che ne incarnano le caratteristiche, i ruoli e i simboli.
 Tuttavia il libro di Spaziante aggiunge qualcosa in più a questa già importante e fitta trama di  riferimenti musicali. La musica è infatti analizzata anche in rapporto al suo destinatario. Non  soltanto, dunque, il suo creatore. Anche il suo utente. Il terminale del messaggio musicale. Il  cittadino che, colpito da «pensieri e parole» per dirla con Battisti, si fa portavoce di quelle  stesse istanze e concetti diffondendone le note. Cantandola e facendola cantare. E anche  nell'universo degli ascoltatori i profili risultano tra i più differenti. All'uso iniziale del  giradischi viene sovrapponendosi quello del mangianastri che presuppone l'utilizzo di oggetti ad  alta riproducibilità - la cassetta musicale - con la possibilità di cancellazioni e nuove  incisioni. Per poi toccare il walkman, arrivando al cd che snatura completamente i tempi e la  concezione di un disco in vinile. E giungere infine all'ipod del titolo, che rappresenta  addirittura un modo nuovo di ascoltare e di «consumare» la musica, in rapporto a un mercato  radicalmente mutato rispetto al passato.
Dai beat all'ipod: il nuovo millennio cambia musica
In un volume i mutamenti sociali, musicali e culturali del pop negli ultimi cinquant'anni. Viaggio da ieri a oggi nella cultura delle note che ha determinato una vera rivoluzione nella tecnica e ha fatto cantare giovani e meno giovani sui ritmi più diversi
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